Vulcanissimo, abbiamo toccato molti temi, ma non tutti. Parliamo di assistenza: Trieste, si dice, spende più di qualsiasi altra città.
Non stupisce, vista l’alta percentuale di anziani. Bisognerebbe anche valutare la qualità, oltre alla quantità. L’impressione è che, comunque, le aree di sofferenza siano ampie: mancanza di alloggi popolari, emarginazione, nuove povertà, solitudine, disabilità.
E cosa bisognerebbe fare?
I miracoli sono impossibili, ma penso che il problema più grosso sia la mancanza di coordinamento per le diverse esigenze. Se guardiamo ai bisogni primari, le risposte vengono da soggetti diversi non comunicanti fra loro. Per la casa c’è l’Ater, per la salute c’è l’Azienda sanitaria territoriale, per l’assistenza domiciliare il Comune, per il lavoro il Centro dell’Impiego, che da provinciale sta transitando alla Regione. Quattro servizi che non fanno rete, per cui manca la visione organica dei bisogni dei nuclei familiari in difficoltà. Il risultato è di non saper commisurare le esigenze reali alle offerte possibili.
Da dove si dovrebbe cominciare?
Casa e lavoro.
Ok. Casa.
Trieste è piena di case vuote. Bisogna attivare sistemi che consentano al Comune ed all’Ater di ampliare il proprio patrimonio e quindi l’offerta di alloggi di edilizia popolare. Le centinaia di famiglia in lista di attesa meritano una risposta. Investire in immobili darebbe al comune la possibilità di consolidare il proprio patrimonio offrendo al tempo stesso alloggi a chi ne ha necessità. Nei paesi avanzati il Comune ha diritto di prelazione sulla vendita di immobili abitativi e la possibilità di confiscare edifici abbandonati o comunque cronicamente sfitti è reale. Da noi gli strumenti sono inadeguati e le relative possibilità sono solo virtuali. Servono interventi normativi che rendano effettivi gli interventi in tal senso.
E le risorse?
Ho già elencato tante voci del bilancio su cui risparmiare.
Lavoro.
Per prima cosa bisogna valutare come le risorse regionali vengono spese. La formazione professionale, che dovrebbe far incontrare domanda ed offerta è un punto debole a livello nazionale, e qui le cose non vanno meglio. La si fa più per dire di aver fatto qualcosa, buttando denari in iniziative che danno lavoro solo a chi le gestisce, non a chi ne fruisce. In secondo luogo bisogna finanziare più massicciamente i programmi di inserimento già esistenti, che ad oggi sono più che altro un parcheggio. Inviare la gente al lavoro è sempre meglio che fornire sostegno ai redditi.
E poi?
Come dicevo bisogna fare rete fra i vari servizi, in modo che gli operatori abbiano un quadro della situazione complessiva delle persone in difficoltà, potendo interagire con le strutture competenti. L’assistente sociale deve poter intervenire presso Ater, Azienda sanitaria, medico di base e Centro per l’impiego, così da assistere il fruitore in tutte le esigenze primarie. Purtroppo siamo governati da una burocrazia miope, incapace di recepire le esigenze di una persona, con il risultato che gli strumenti esistenti, che pure sono modesti, non vengono neppure utilizzati al meglio.
Un capitolo a parte riguarda asili e scuole. Dobbiamo fare di tutto per dare un posto al nido ed alla materna a tutti, ma veramente a tutti. E la scuola dell’obbligo deve diventare un luogo di formazione, di aggregazione e di crescita personale. Tutte le famiglie, ed in particolare quelle in difficoltà, devono poter contare su un sistema scolastico che segue i ragazzi durante tutta la giornata. Per quello che compete al Comune, vanno ampliati e migliorati gli edifici, arricchiti i servizi che non ricadono specificamente nella competenza scolastica, come sport e musica.
Un argomento bello vasto.
Prima di spendere denari in pavimentazione di strade, parcheggi sotterranei, canali o altro, occupiamoci delle scuole. Serve un programma urgente di riqualificazione ed arricchimento degli edifici scolastici, che devono diventare luoghi dove si sta meglio che a casa. Aperti tutto il giorno, con la possibilità di fare sport, ascoltare o fare musica, seguire corsi complementari. E’ un intervento trasversale che tocca la formazione culturale – altro che musei del ciarpame – e l’assistenza. Perché l’aiuto più grande che possiamo dare alle famiglie è curare l’educazione dei figli, dando sostegno ai genitori anche nella quotidianità. Il peso più grande per una famiglia in difficoltà economica è proprio il pensiero di non saper dare un futuro adeguato ai figli. A questo deve pensare la collettività, ed il Comune deve saper fare la propria parte. Che non è tutto, ma è importante.
E’ sempre un problema di risorse.
Come ho detto, bisogna tagliare altrove. Smettiamo di spendere milioni di euro per il Tram di Opicina, tagliamo i compensi nelle partecipate, e ristrutturiamo le scuole.
Si parla tanto di verifiche, di ISEE.
Ho l’impressione che ci sia un eccesso di zelo. Sicuramente esistono casi di prestazioni percepite indebitamente, ma ho l’impressione che siano casi abbastanza limitati. Non credo all’esercito di truffatori che barano per aggirare le normative: le violazioni vanno individuate e sanzionate, ma senza guerre di religione. E’ un po’ come la declamata questione dei falsi invalidi, che secondo qualcuno sarebbero una moltitudine quando invece, alla prova dei fatti, non è così.
No?
I dati INPS lo smentiscono. La piaga dei falsi invalidi è una leggenda giornalistica.
Veniamo allora alla disabilità.
Un universo. Qui non si sa veramente da dove cominciare. Dalle barriere architettoniche all’accessibilità ai bus; dagli insegnanti di sostegno all’integrazione lavorativa, il mondo della disabilità ha bisogno di decenni, ancora, prima di raggiungere livelli accettabili di tutela, anche dal punto di vista culturale. Il cammino è avviato e va seguito con pazienza e perseveranza. L’aspetto più grave, però, è culturale, di atteggiamento. Bisogna far entrare nella mentalità delle amministrazioni pubbliche che la disabilità è una condizione che può toccare a tutti, per gli eventi più svariati. Quindi, oltre agli interventi settoriali, è l’atteggiamento delle istituzioni che deve mutare, acquistando la capacità di trattare la disabilità come parte integrante del nostro mondo e del nostro modo di fare comunità.
(8. continua)
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