mercoledì 23 marzo 2016

Il Vulcanissimo alla conquista di Trieste. Quarta puntata.


Vulcanissimo, è venuto il momento di affrontare il tema più caldo (in tutti i sensi) delle ultime campagne elettorali: la Ferriera.

Se il Porto vecchio è stato il grande alibi della politica triestina per trent’anni, la Ferriera è stata il grande crimine. Verso i triestini che si sono ammalati ma anche verso tutti gli altri, ingannati da montagne di parole ingannevoli.

Ne dica una di queste parole ingannevoli.

“Eccellenza”. A Trieste la si usa a piene mani, per la Sanità, per l’economia, per la qualità della vita, per l’amministrazione “asburgica”, per l’imprenditoria, per l’informazione, per la Giustizia.

E invece?

E invece la Ferriera è la prova palmare che Trieste non eccelle in niente. Non nella sanità, se si tiene un mostro inquinante a ridosso delle case; non nell’economia, se l’unica industria superstite è a continuo rischio chiusura, o per ragioni politico-sanitarie o per ragioni economiche; non nella qualità della vita, se i parametri ambientali sono cronicamente affetti dalle emissioni di Servola; non nell’amministrazione, se Regione e Comune, in venti anni, non sono riusciti a fare neppure un minimo passo in avanti sulla questione emissioni; non per l’imprenditoria, se tutto quello che si sa fare è supplicare gruppi esterni di venire qui a non investire ed a far finta di riqualificare-risanare; non per la stampa locale, che nasconde ai triestini che la  Ferriera è la Ilva del Nordest ed ha sulla coscienza venti anni di disinformazione; non nella Giustizia, visto che la Procura, in tema, ha inanellato una serie di provvedimenti, diciamo così, fittizi.

Una Caporetto.

La Caporetto di una classe dirigente locale inadeguata, pavida, impreparata e al tempo stesso tronfia e mendace.

Ma cosa si doveva fare?

Eccellenza, in questo caso, significava dimostrare che l’industria pesante, la siderurgia, la città e la natura – la splendida natura di questo golfo – possono convivere. Se la questione Ferriera fosse stata affrontata per tempo, adesso potremmo dire di aver mantenuto una produzione importante per la città salvaguardando la qualità dell’aria e dell’ambiente. Potremmo additare il modello Trieste alla realtà di Taranto ed a tante altre analoghe. Bastava copiare dagli altri paesi gli esempi in cui impianti siderurgici operano a ridosso delle città. Invece Trieste si è ottusamente divisa fra chi proclamava di voler chiudere la Ferriera per ragioni sanitarie e chi la voleva tenere in vita per ragioni economiche, vaneggiando di riconversioni che nessuno ha mai realmente preso in considerazione. E così la Ferriera ha rischiato di chiudere per ragioni economiche ed ha continuato a operare malamente, inquinando ed aggravando di giorno in giorno il suo stato. In venti anni, con pragmatismo e buon senso, avremmo potuto renderla compatibile.

E adesso?

Nessuna illusione, niente promesse miracolistiche. Bisogna prendere atto del tempo perso e fare ora quel che bisognava fare allora. Ma senza prendere in giro la gente. A Taranto è lo Stato che si è fatto carico dell’impresa e del suo adeguamento. Qui abbiamo Friulia e l’autonomia: è tempo che si trovino i fondi per entrare nel capitale della Ferriera e imporre le opere indispensabili alla sua compatibilità ambientale. Ma dal di dentro, inserendo nel CdA della società esponenti nominati dalle istituzioni che possano decidere. Non ci si può limitare a fare la voce grossa ogni tanto, ad alzare il ditino contro la proprietà affinché faccia quello che ha dimostrato di non voler fare. Andiamo a rivedere gli interventi delle istituzioni in questi anni: una comica teoria di diffide, ingiunzioni e prescrizioni da parte di uffici regionali e magistrati, tutte regolarmente disattese.

Non sarebbe più semplice chiudere l’area a caldo, riconvertire come dicono in tanti?
 

Se fosse così, se fosse semplice, l’avrebbero fatto; temo invece che riconversione sia una parola vuota.

E chiudere tutto?

Questo è il vero incubo. Se lo immagina quel sito abbandonato? Lo guardi dall’alto con Google Earth: è più vasto del Porto vecchio. Ci ritroveremmo con un mostro ambientale ingestibile. Un deserto super inquinato la cui bonifica richiederebbe investimenti insostenibili. Se nessuno parla più di chiusura della Ferriera il motivo, per me, è questo: dal giorno dopo avremmo un problema irrisolvibile, un Porto vecchio moltiplicato per cento dal dramma della bonifica. La verità è tragicamente questa: la Ferriera deve rimanere in funzione, se non altro perché operando il sito rimane sotto controllo. Ma serve un massiccio intervento statale e regionale per l’adeguamento. La Regione dovrebbe smettere di baloccarsi con inutilità come le Uti ed affrontare le questioni autentiche sul tappeto.

Ma un intervento regionale o statale sulla Ferriera incontrerebbe ostacoli a più livelli, anche europei. Privatizzare gli utili e socializzare le perdite, si diceva una volta.
 
Quando ci sono di mezzo la salute ed il lavoro, le obiezioni devono essere superate, in un modo o nell’altro. Non si tratta di socializzare le perdite, ma di socializzare la salute. Perché in effetti la salute è un bene pubblico. Non si può affidare la salute di un intero quartiere, se non di un’intera città, alla presunta buona volontà di un privato. Il quale, come ben si sa, è interessato solo al profitto.

Molti pensano che la Ferriera sia ontologicamente anacronistica, un corpo estraneo da espungere, l’eredità di una passato da rimuovere, un mostro deturpante da eliminare dal corpo di una città marittima non più votata all’industria.

Cancellando l’industria uccidiamo la città. Allora che si dica che si vuole fare di Trieste un borgo, un mega ospizio, un agglomerato di ruderi. Torniamo al punto di partenza: l’industria va salvata a tutti i costi, non solo nell’interesse di Trieste o dei lavoratori di Servola, ma di tutta l’Italia. Chi ci paragona alla Grecia, ventilando per noi un analogo dramma economico, sbaglia, perché dalla Grecia ci distingue quello che rimane del nostro patrimonio industriale. Che però va difeso a tutti i costi, anche se è ridotto male come la Ferriera. Per cui ribadisco che dobbiamo lanciare la sfida del mantenimento dell’impianto, cambiando tutto, se serve, ma senza chiusure o ridimensionamenti. E i capitali non possono che venire dal pubblico. Il risanamento, autentico, deve essere il primo passo verso la re-industrializzazione di Trieste.


(4. continua)

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