Vulcanissimo, il discorso sulla giunta in carica ci riporta alla città: negli ultimi cinque anni abbiamo avuto quattro diversi assessori alla cultura. Che riflessione facciamo?
Chiediamoci cosa significa essere assessori alla cultura di questo Comune. Da quello che ho visto sarebbe più opportuno dire “assessore ai musei comunali”. Solo di questo ho sentito parlare, e forse è giusto così: la politica dovrebbe tenersi lontano dalla cultura.
Si parla di museo diffuso del ‘900.
Museo del Mare, Museo Ferroviario, Istituto della cultura marittimo portuale, Museo d’arte orientale, Museo della cultura istriana, Museo del Risorgimento, Museo Sartorio, Museo Morpurgo e Museo de Henriquez… Aggiungiamo Il Faro della Vittoria, l’Ursus ed il Tram di Opicina e direi che possiamo ribattezzare Trieste come la Città dei Rottami e della Cianfrusaglie.
Un giudizio severo..
Chi non ha una storia cerca di costruirsela, e Trieste è un nitido esempio: qui vige la spasmodica esigenza di dare valore storico a qualsiasi insignificante residuo del passato. Il risultato è di avere dei contenitori inutili di materiale che non interessa a nessuno.
Beh, che c’è di male? … E magari i turisti possono interessarsene.
Di male c’è che si sprecano risorse, e parliamo di milioni di euro fra investimenti in strutture e personale. E mi dica lei quale turista affronta un viaggio di ore ed ore e programma un soggiorno in città per vedere le stoviglie dei Sartorio o i bossoli bucati di De Henriquez.
Ma la memoria della città va rispettata..
Rispettata ma non mitizzata, dando valore museale a semplici collezioni. Un conto è conservare, un conto è esporre. Teniamole pure, ma chiuse, visitabili a richiesta o in poche e determinate date. A parte il Revoltella, con il patrimonio artistico che ha e magari con quello che potrebbe essere lì traslato dal Sartorio, tutti gli altri musei non possono rimanere come esposizioni permanenti. Esiste anche un Museo della Bora, per esempio, ma è privato e visitabile su prenotazione. Questa è la formula da adottare anche per gli altri contenitori, magari affidandoli in gestione a soggetti privati che – per spirito di volontariato e passione – li possono rendere visitabili su prenotazione. Anche per la Kleine Berlin di via Fabio Severo funziona così.
E ci mettiamo anche il Tram?
Altro esempio di spreco inverecondo. E’ un rottame tenuto in vita a spese della collettività: va smantellato immediatamente. A meno che una società di appassionati non voglia sostenerne i costi di gestione, magari facendo pagare il biglietto in modo da mantenersi in pareggio.
Dicono che sia un’attrazione turistica.
Allora facciamo pagare il biglietto 5 euro per ogni corsa, e vediamo quanti turisti lo prendono.
Ma i triestini ci sono affezionati.
Anche i miei figli sono affezionati al maggiolone del nonno, ma questo non è un buon motivo per obbligarmi ad andare a lavorare con quello. Il Tram di Opicina può essere tenuto come attrazione da far circolare un paio di giorni all’anno, ma il servizio va sostituito con gli autobus. Risparmieremmo denari per le scuole, i servizi di assistenza, la pulizia strade…
E l’Ursus?
Non mi faccia bestemmiare..
L’hanno chiamato la Tour Eiffel di Trieste.
Vuol farmi arrestare?
Ok, va bene. L’attuale assessore alla cultura progetta di trasferire la biblioteca comunale nella ex Pescheria.
A parte che mi sembra un progetto inutile e dannoso, mi chiedo: cosa c’entra la cultura? Spostare fisicamente i libri da qui a lì è un’attività culturale? A me sembra materia per un assessore alla logistica, semmai. Sarebbe come se un docente di letteratura, durante le ore di lezione, insegnasse ai suoi allievi a montare le librerie Ikea, in base al principio che negli scaffali andranno i libri di Dante e di Leopardi.
Non si salva proprio nulla.
Siamo tornati ad un argomento già sfiorato. A Trieste la cultura, in una strana e deviata miscela con la promozione turistica e la memoria storica, sembra coincidere con l’idea di conservare ogni minima traccia del passato pre-italiano. Tutto quello che ha più di cento anni va recuperato. In assoluto. Poi, una volta recuperato un edificio o un qualche altro accidente, non si sa cosa farne e ci si inventano stravaganze per usarlo in qualche modo. Così si sprecano risorse prima, in recuperi e restauri, e dopo, in iniziative inutili pensate solo per usare quel che si è restaurato. Per tacere delle spese di custodia, manutenzione e di personale. E’ accaduto con la ex Pescheria, con il Magazzino delle Idee, con il Magazzino 26, con il Magazzino Vini, con l’Ospedale Militare, la Stazione idrodinamica eccetera.. E’ un lungo elenco, e si rischia di continuare con altre iniziative a vuoto..
L’ex Ospedale militare dicono sia un gioiello.
E qualcuno mi deve spiegare perché, fra le migliaia di studenti dell’Università di Trieste, devono esistere trecento privilegiati che stanno in tale paradiso. Che senso ha? Se si vuole fare un Campus lo si faccia per tutti, non solo per pochi privilegiati.
Il Magazzino vini andrà a privati, non va bene nemmeno quello?
No, ne abbiamo già parlato. Soldi dei triestini per garantire profitti a un privato: NCS. Non Ci Siamo.
Va bene, ma torniamo al Comune, alla ex Pescheria e alla Cultura. La ritrasformiamo in mercato del pesce?
Non sarebbe neanche sbagliato, ma ormai che c’è usiamola. Per una volta potremmo dare un senso all’espressione “restituire alla città”: mettiamola a diposizione dei triestini e dei non triestini per qualcosa di loro, e non per iniziative calate dall’altro e per di più episodiche, visto non ci sono risorse.
Cioè?
Potremmo utilizzarlo come area espositiva per artisti, come teatro sperimentale, come luogo di ritrovo per serate di musica e di ballo. E’ talmente grande che può contenere un’area espositiva da autogestirsi, un palco, un’area per la danza. Lei sa che a Trieste esistono gruppi spontanei di amici che si riuniscono periodicamente per serate di ballo (dal rock anni 80 al tango, dai balli ottocenteschi all’heavy metal), itinerando fra vari locali pubblici con la loro collezione di cd. Non esistendo più le discoteche, si adattano a essere ospitati in vari locali, con il problema del disturbo per i residenti e delle autorizzazioni dei titolari. Diamo loro uno spazio pubblico quasi gratuito (basta far pagare una quota per l’assicurazione e la corrente elettrica) e usiamo la ex Pescheria come punto di riferimento per la “movida” triestina e per fare musica, così non disturbiamo i residenti che vogliono dormire.
Una milonga sul mare..
Un nome comunque preferibile a “Salone degli Incanti” che non ho mai capito cosa vuol dire. Ma visto che si parla tanto di scarse opportunità di aggregazione per i giovani, questa potrebbe essere una prima risposta. Inoltre quella zona è ricca di bar e ristoranti; inserirci un’attrazione di quel tipo gioverebbe.
Abbiamo toccato il tema del turismo. Che cosa possiamo fare per attirare più visitatori?
Abbandonare l’idea che debbano essere gli enti pubblici a fare promozione. Fra Promotour, PromoTrieste e altre copie si spendono denari pubblici per strutture che non producono nulla. Sono gli operatori del settore a sapere cosa serve per richiamare turisti: lasciamo che albergatori, ristoratori ed esercenti gestiscano da soli la promozione. Il Comune deve fare altro: tenere la città pulita, ordinata, fruibile. I turisti, appena arrivati qui, dicono che la città è sporca.
Ma lei vuole chiudere anche i musei..
Tranne il Revoltella… Per gli altri vediamo i dati degli ingressi e mi darà ragione. Preoccupiamoci invece di avere negozi aperti più a lungo ed esercizi pubblici migliori. Parliamoci chiaro: l’offerta gastronomica in città è quella che è. Locali ce ne sono, ma la qualità? L’igiene? Il servizio? Gli orari di apertura? Si parla tanto di movida notturna, ma io dopo una certa ora vedo solo serrande abbassate. Vorrei locali aperti più a lungo, servizi igienici più puliti, camerieri più cortesi, interni più curati e più qualità. Guarderei in faccia i vertici delle associazioni di categoria e direi loro: signori, vediamo di migliorare un po’, e magari arriverà più gente.
(7. continua)