lunedì 19 dicembre 2016

Le profezie di bora.qua: la rotatoria.

Andiamo a rileggere cosa ci disse il nostro amato vulcanissimo il 21 marzo scorso in questo articolo sulle questioni del traffico automobilistico:

"Una qualche razionalizzazione si può e deve fare. Ne dico una: la rotatoria alla confluenza fra via Flavia e strada della Rosandra non può essere rinviata".

Ed ecco la recente notizia sul nostro quotidiano sull'inaugurazione della rotatoria.

venerdì 4 novembre 2016

Le profezie di bora.qua: cinghiali

E' triste la notizia che ci riporta il Piccolo di oggi in questa nota.

Ma ancora una volta bora.qua aveva previsto tutto:

I cinghiali bloccano il tram.


venerdì 21 ottobre 2016

La profezia di bora.qua sulla Barcolana

Fra le celebrazioni dell'ultima Coppa d'autunno è sfuggita la notizia che ci offre il quotidiano locale "Il Bugiardello", di cui Il Piccolo è l'inserto satirico. 

Nel numero del 16 ottobre, sotto il titolo "anche la Barcolana cinese" leggiamo che "il re delle cartolerie avrebbe fatto un'offerta alla Barcola Grignano e al Comune. Gli amici cinesi comprerebbero tutto: marchio, gazebo, barche, golfo e Faro della Vittoria. Pare che in tre giorni smontino e portino via tutto senza problemi."

Ancora una volta bora.qua era arrivata prima. Già il 4 agosto 2014 scrivemmo in questa nota che "la Società Velica Barcola-Grignano che organizza la manifestazione fa sapere che il marchio ed i relativi diritti di esercizio sono stati ceduti ad una società con sede negli Emirati che trasferirà la regata nel golfo Persico." 

martedì 27 settembre 2016

Le profezie del vulcanico ed amatissimo: edicole e chioschi

Il Piccolo online ci propone un articolo sul destino delle edicole del centro storico con annessa polemica sull'aspetto estetico delle medesime:



Andiamo allora a rileggere cosa ci disse il nostro vulcanico ed amatissimo il  26 marzo 2016:


Vulcanissimo, dopo le brutture dobbiamo sollevarci il morale. Qualcosa di bello ci sarà da dire..

Trieste è bellissima, non c’è dubbio. Peccato che i triestini facciano poco o nulla per meritarsi tale bellezza e sembrino adoperarsi per imbruttire la loro città. Lo dice anche il Piccolo di oggi (26 marzo NdR): il primo commento dei turisti è che la città è sporca e trascurata. Si guardi intorno. Alcuni dettagli, seppur minimi, denotano un senso estetico direi bassino.

Per esempio?

Le edicole.

Le edicole?
 
Le edicole vecchio tipo, quelle in lamiera grigia. Il centro storico ne è disseminato e sono deturpanti. Vanno trasferite nei fori commerciali. Si dà un incentivo agli edicolanti perché chiudano l’orrido chiosco e traslochino in un locale più idoneo. Sarebbe più salubre anche per loro: d’inverno, con la bora, non credo sia allegro starci dentro. Non voglio fare esempi specifici ma basta guardarsi intorno.

Eliminando le edicole risolviamo il problema?
 
No di certo, bisogna riqualificare l’aspetto urbano in generale, anche in chiave turistica, ma non solo. Trieste non ha un elemento di richiamo turistico come gli Uffizi a Firenze, i Musei vaticani a Roma o il fascino di Venezia. Il suo punto di forza è l’unicità dell’architettura urbana per una città sul mare. Ma bisogna valorizzarla ed esaltarla. Troppi edifici storici, di pregio, versano in condizioni pessime e molte vie centrali o semicentrali sono trascurate, se non degradate. Serve un piano di recupero edilizio delle facciate storiche: incentivi regionali e comunali per risanare e conservare le facciate degli edifici che hanno almeno un secolo di vita. E’ inaccettabile vedere palazzi del centro scrostati e malamente “messi in sicurezza” con interventi grossolani. Ce ne sono ovunque, anche su piazza Ponte rosso. Quando li vedo non posso che pensare che i triestini non amano abbastanza la loro città, anzi, nemmeno la loro casa. Poi bisogna recuperare il decoro nelle vie abbandonate a loro stesse. Un esempio: via Battisti. Entrambi i marciapiedi sono ingombri di ogni schifezza: auto in sosta, edicole …

Aridaje..

… edicole, chioschi di fiori e di caldarroste, cassonetti – sono più di trenta – cabine Enel, tabelloni pubblicitari; insomma: un suk. Bisogna sgomberare tutto.

sabato 17 settembre 2016

Le profezie del vulcanico ed amatissimo: ex pescheria

Il Piccolo di oggi, 17 settembre, dedica un articolo alla ex Pescheria: l'imperscrutabile destino del Salone degli Incanti.

Leggiamo: 

Salvatore Porro, consigliere di Fratelli d’Italia, ricorda con nostalgia, invece, il progetto mai nato di un Delfinario. «Sarebbe stato un successo. Basta pensare al vicino Aquario, fa un milione di visitatori con due sardoni e un branzino». E quindi? «Ci sono le richieste dei cittadini che fanno danza. Non sarebbe male farne una sala da ballo per il sabato sera. Per dare uno sfogo agli anziani». Una balera sul mare. Da Salone degli incanti a salone da ballo. Facile. «Non è una brutta idea - sorride il presidente de Gioia -. Sarebbe la sala da ballo più bella d’Europa».

Ci piace allora ricordare cosa disse a bora.qua il nostro amato e vulcanico candidato sindaco nel colloquio del 24 aprile 2016 che trovate qui:

Va bene, ma torniamo al Comune, alla ex Pescheria e alla Cultura. La ritrasformiamo in mercato del pesce?



Non sarebbe neanche sbagliato, ma ormai che c’è usiamola. Per una volta potremmo dare un senso all’espressione “restituire alla città”: mettiamola a diposizione dei triestini e dei non triestini per qualcosa di loro, e non per iniziative calate dall’altro e per di più episodiche, visto non ci sono risorse.



Cioè?



Potremmo utilizzarlo come area espositiva per artisti, come teatro sperimentale, come luogo di ritrovo per serate di musica e di ballo. E’ talmente grande che può contenere un’area espositiva da autogestirsi, un palco, un’area per la danza. Lei sa che a Trieste esistono gruppi spontanei di amici che si riuniscono periodicamente per serate di ballo (dal rock anni 80 al tango, dai balli ottocenteschi all’heavy metal), itinerando fra vari locali pubblici con la loro collezione di cd. Non esistendo più le discoteche, si adattano a essere ospitati in vari locali, con il problema del disturbo per i residenti e delle autorizzazioni dei titolari. Diamo loro uno spazio pubblico quasi gratuito (basta far pagare una quota per l’assicurazione e la corrente elettrica) e usiamo la ex Pescheria come punto di riferimento per la “movida” triestina e per fare musica, così non disturbiamo i residenti che vogliono dormire.



Una milonga sul mare..
 

Un nome comunque preferibile a “Salone degli Incanti” che non ho mai capito cosa vuol dire.

sabato 30 aprile 2016

Il Vulcanissimo alla conquista di Trieste. Ultima puntata.


Eccoci al nostro ultimo colloquio. Dimentichiamoci ristrettezze e brutture, immaginiamo di avere a disposizione tempo, denaro ed entusiasmo. Cosa facciamo di Trieste?

Abbelliamola. Già è bella così, ma la si può rendere bellissima.

Sogniamo. Come?

Eliminiamo le brutture. Abbattiamo Rozzol-Melara, l’Ospedale di Cattinara, la Fiera e gli altri ecomostriciattoli disseminati qua e là.

Addirittura l’Ospedale?

L’ideale sarebbe trovare un’area dove edificare un nuovo unico ospedale per la città, abbattendo Cattinara e trasformando il Maggiore in un presidio sanitario di ridotte dimensioni.  Ci sono poi quartieri di edilizia popolare che non ci fanno onore. Bisogna dare una casa migliore a chi ci abita e buttare giù edifici vecchi, brutti, inospitali.

Ed al loro posto?

Aree verdi, parchi. Trieste ha la grande fortuna di essere circondata dalla natura, ma bisogna recuperare il verde anche in città.

Dove, per fare un esempio?

Il complesso della ex Fiera di Trieste va abbattuto e sostituito con un’area verde: zero costruzioni in quell’area che è già fortemente abitata. Il colpo grosso sarebbe mettere le mani sull’ippodromo e trasformarlo in grande parco urbano.

E l’ippica?

Se ne fa ancora? Temo che sia un settore in regresso e non mi si può negare che quell’impianto occupa uno spazio enorme in un’area che ha grande bisogno di spazi.

Altre idee?

L’ex meccanografico va buttato giù, e con esso il vecchio mercato ortofrutticolo, che sta per essere trasferito. In quella zona possiamo recuperare spazi aperti. Qualche parcheggio e aree verdi aperte al pubblico. Altri interventi analoghi sono possibili in vari punti della città, espropriando, se serve, edifici privati fatiscenti e disabitati.

Una furia demolitrice.

Trieste è una città cresciuta urbanisticamente in maniera disorganica, demolire non deve essere un tabù. Il centro ha bisogno di spazi e la periferia di quartieri più belli. Faccio un ultimo esempio..

..prego..

Leggo che il Burlo verrà traslato a Cattinara, e già mi immagino la discussione su cosa fare della vecchia sede. Lo dico fin da ora: buttiamola giù, prima che qualcuno si inventi una scusa per investire risorse immense per una riqualificazione a vanvera.

Va bene, chiudiamo con due parole sulla campagna elettorale prossima ventura.

L’ex centrosinistra e l’ex centrodestra sono d’accordo: RDP corre per arrivare secondo ed escludere dal ballottaggio PM. Il 19 giugno convergeranno tutti su RC, dando a RDP il ruolo di capo dell’opposizione, in modo da consentirgli di fare il tribuno in Consiglio comunale.

Quindi?

Quindi votate V. come Vulcanissimo.

(10. Fine)

lunedì 25 aprile 2016

Il Vulcanissimo alla conquista di Trieste. Nona puntata.

Siamo quasi alla fine di questo ciclo di conversazioni. Ci siamo occupati di tutto, e ora bisogna anche capire da dove reperire le risorse per tutte le belle cose di cui abbiamo parlato.
 
Serve un’analisi seria del bilancio comunale. Bisogna distinguere le aree che comportano inevitabilmente dei costi, quelle che devono funzionare in pareggio, o comunque dove si possono ridurre le perdite, e quelle che possono generare ricavi. Il Comune deve spendere per assistenza (disabilità, avviamento al lavoro, anziani), istruzione, manutenzione (edifici pubblici, strade, rete fognaria ..) e poco altro. Può risparmiare o andare in pareggio in settori come i trasporti, razionalizzando il funzionamento della partecipata Trieste Trasporti e come la raccolta rifiuti e l’igiene urbana, migliorando l’efficienza di Acegas. Stesso discorso per il settore museale: vanno affidate al volontariato le esposizioni cronicamente in perdita e valorizzati i pochi poli attrattivi.

Un approfondimento serio va fatto per gli impianti sportivi. Vorrei capire quanto gravano sul Comune i due stadi ed i due palazzetti. Quanto potrebbero rendere e quanto invece ci costano. Pur dispiacendomi, va affrontato anche il discorso dei Teatri e dei contributi che assorbono.

Più in generale serve un censimento di tutto il patrimonio comunale, dagli immobili alle partecipazioni, in modo da poter capire se è possibile aumentare i ricavi. E se ci sono aree irrimediabilmente in perdita, rami secchi da tagliare, si deve tagliare. Mi riferisco anche alle partecipate ed alle poltrone dei consigli di amministrazione.

Ci sono poi le voci di spesa per varie iniziative sportive o culturali, con finanziamenti a pioggia concessi senza una chiara logica. Anche qui bisogna avere il coraggio di dire di no, e, fatti salvi eventi di particolare rilievo, cancellare ogni erogazione. Liberi i cittadini di associarsi e di promuovere iniziative, ma aspese loro.

Infine, come ho già detto, è possibile allargare le aree di sosta a pagamento – fatta salva la gratuità per i residenti. Da lì possono arrivare incassi importanti.

Ultimo capitolo dei risparmi riguarda il personale. Purtroppo il Municipio ha ancora un eccesso di funzionari amministrativi che va progressivamente eliminato.

Pare comunque che l’amministrazione uscente abbia fatto passi avanti. Sia nella gestione del personale che nelle posizioni delle partecipate.

Forse sì, ma temo che ci sia ancora da lavorare. Faccio un esempio e solo uno. Qualcuno mi dovrebbe spiegare che cosa ci fa un avvocato penalista alla presidenza di una società multiservizi. Che competenze specifiche ha? Che motivi tecnici ci sono per una nomina del genere?

Una nomina politica?

Ma non mi risulta neppure che abbia incarichi politici. O che abbia dimostrato impegno politico di un qualche tipo. L’unica cosa che mi risulta è che ha difeso e difende personaggi politici di tutti gli schieramenti nei procedimenti penali che si sono succeduti in questi anni.

E' un impegno politico anche questo…

Sì, che sembrerebbe essere stato ricambiato con una nomina altrettanto politica, ma che non ha una giustificazione logica.

Qualcuno bisognava pur metterci su quella poltrona e, in fondo, che male c'è?

Magari si poteva scegliere uno con competenze specifiche. Ed a voler essere diffidenti, direi che una persona sospettosa potrebbe immaginarsi che gli onorari del difensore nei processi penali vengono pagati (almeno in parte) con la remunerazione di presidente della società multiservizi. I triestini pagano i servizi ed i relativi incassi pagano l’avvocato ai politici che l'hanno nominato lì.

Complottismo puro.

Per smentire tali sospetti si sarebbe potuto attendere qualche mese e procedere alla nomina dopo le elezioni. Invece sono andati di fretta, visto che, come tutti vedono, l’interesse è bipartisan. Ritorniamo su un punto già affrontato: ci sono due schieramenti che si fanno la guerra solo a parole. In realtà, e nemmeno così nascostamente, sono d’accordo su quasi tutto e sono pronti ad accordarsi. Anche il quotidiano della città partecipa all’inciucio.

E come?

Lo sfarzoso annuncio sul giornale delle prossime nozze di un candidato, con la celebrata presenza del presunto rivale, sono il suggello all’accordo fra i due schieramenti. Suggello apposto dai poteri della città dalle pagine del nostro amato quotidiano. Se mai leggeremo i programmi elettorali, scopriremo che le differenze sono solo nei dettagli. La gestione della città, nelle linee fondamentali, continuerà come prima, chiunque sia il vincitore.

C’è pur sempre l’incognita del terzo incomodo.

Se anche vincerà, vedremo se avrà la forza di durare e di resistere. E soprattutto di cambiare sostanzialmente le cose. Il dogma del ricambio continuo impedisce la formazione di una classe dirigente solida e competente. Con un sistema del genere si rimane in superficie, non si ha la forza di andare alla radice dei problemi. In cinque anni non si cambia una rotta che procede inesorabile da decenni. E’ come pretendere di governare una petroliera come se fosse un optimist. I cittadini percepiscono tale debolezza e finiscono per votare gli schieramenti tradizionali, senza rendersi conto che la contrapposizione è fasulla ed i due schieramenti sono d'accordo, ai danni dei cittadini stessi.

Alla fine, siamo tornati al Patto del Nazareno al Kren.

Prima o poi vedremo la foto dei due candidati seduti fianco a fianco a mangiar porcina. E lei stesso dovrà ammettere che aveva ragione il Vulcanissimo.

(9. continua)

Il Vulcanissimo alla conquista di Trieste. Ottava puntata.

Vulcanissimo, abbiamo toccato molti temi, ma non tutti. Parliamo di assistenza: Trieste, si dice, spende più di qualsiasi altra città.

Non stupisce, vista l’alta percentuale di anziani. Bisognerebbe anche valutare la qualità, oltre alla quantità. L’impressione è che, comunque, le aree di sofferenza siano ampie: mancanza di alloggi popolari, emarginazione, nuove povertà, solitudine, disabilità.

E cosa bisognerebbe fare?

I miracoli sono impossibili, ma penso che il problema più grosso sia la mancanza di coordinamento per le diverse esigenze. Se guardiamo ai bisogni primari, le risposte vengono da soggetti diversi non comunicanti fra loro. Per la casa c’è l’Ater, per la salute c’è l’Azienda sanitaria territoriale, per l’assistenza domiciliare il Comune, per il lavoro il Centro dell’Impiego, che da provinciale sta transitando alla Regione. Quattro servizi che non fanno rete, per cui manca la visione organica dei bisogni dei nuclei familiari in difficoltà. Il risultato è di non saper commisurare le esigenze reali alle offerte possibili.

Da dove si dovrebbe cominciare?
 
Casa e lavoro.

Ok. Casa.

Trieste è piena di case vuote. Bisogna attivare sistemi che consentano al Comune ed all’Ater di ampliare il proprio patrimonio e quindi l’offerta di alloggi di edilizia popolare. Le centinaia di famiglia in lista di attesa meritano una risposta. Investire in immobili darebbe al comune la possibilità di consolidare il proprio patrimonio offrendo al tempo stesso alloggi a chi ne ha necessità. Nei paesi avanzati il Comune ha diritto di prelazione sulla vendita di immobili abitativi e la possibilità di confiscare edifici abbandonati o comunque cronicamente sfitti è reale. Da noi gli strumenti sono inadeguati e le relative possibilità sono solo virtuali. Servono interventi normativi che rendano effettivi gli interventi in tal senso.

E le risorse?

Ho già elencato tante voci del bilancio su cui risparmiare.

Lavoro.

Per prima cosa bisogna valutare come le risorse regionali vengono spese. La formazione professionale, che dovrebbe far incontrare domanda ed offerta è un punto debole a livello nazionale, e qui le cose non vanno meglio. La si fa più per dire di aver fatto qualcosa, buttando denari in iniziative che danno lavoro solo a chi le gestisce, non a chi ne fruisce. In secondo luogo bisogna finanziare più massicciamente i programmi di inserimento già esistenti, che ad oggi sono più che altro un parcheggio. Inviare la gente al lavoro è sempre meglio che fornire sostegno ai redditi.

E poi?

Come dicevo bisogna fare rete fra i vari servizi, in modo che gli operatori abbiano un quadro della situazione complessiva delle persone in difficoltà, potendo interagire con le strutture competenti. L’assistente sociale deve poter intervenire presso Ater, Azienda sanitaria, medico di base e Centro per l’impiego, così da assistere il fruitore in tutte le esigenze primarie. Purtroppo siamo governati da una burocrazia miope, incapace di recepire le esigenze di una persona, con il risultato che gli strumenti esistenti, che pure sono modesti, non vengono neppure utilizzati al meglio.

Un capitolo a parte riguarda asili e scuole. Dobbiamo fare di tutto per dare un posto al nido ed alla materna a tutti, ma veramente a tutti. E la scuola dell’obbligo deve diventare un luogo di formazione, di aggregazione e di crescita personale. Tutte le famiglie, ed in particolare quelle in difficoltà, devono poter contare su un sistema scolastico che segue i ragazzi durante tutta la giornata. Per quello che compete al Comune, vanno ampliati e migliorati gli edifici, arricchiti i servizi che non ricadono specificamente nella competenza scolastica, come sport e musica.

Un argomento bello vasto.
 
Prima di spendere denari in pavimentazione di strade, parcheggi sotterranei, canali o altro, occupiamoci delle scuole. Serve un programma urgente di riqualificazione ed arricchimento degli edifici scolastici, che devono diventare luoghi dove si sta meglio che a casa. Aperti tutto il giorno, con la possibilità di fare sport, ascoltare o fare musica, seguire corsi complementari. E’ un intervento trasversale che tocca la formazione culturale – altro che musei del ciarpame – e l’assistenza. Perché l’aiuto più grande che possiamo dare alle famiglie è curare l’educazione dei figli, dando sostegno ai genitori anche nella quotidianità. Il peso più grande per una famiglia in difficoltà economica è proprio il pensiero di non saper dare un futuro adeguato ai figli. A questo deve pensare la collettività, ed il Comune deve saper fare la propria parte. Che non è tutto, ma è importante.

E’ sempre un problema di risorse.
 
Come ho detto, bisogna tagliare altrove. Smettiamo di spendere milioni di euro per il Tram di Opicina, tagliamo i compensi nelle partecipate, e ristrutturiamo le scuole.

Si parla tanto di verifiche, di ISEE.

Ho l’impressione che ci sia un eccesso di zelo. Sicuramente esistono casi di prestazioni percepite indebitamente, ma ho l’impressione che siano casi abbastanza limitati. Non credo all’esercito di truffatori che barano per aggirare le normative: le violazioni vanno individuate e sanzionate, ma senza guerre di religione. E’ un po’ come la declamata questione dei falsi invalidi, che secondo qualcuno sarebbero una moltitudine quando invece, alla prova dei fatti, non è così.

No?

I dati INPS lo smentiscono. La piaga dei falsi invalidi è una leggenda giornalistica.

Veniamo allora alla disabilità.
 
Un universo. Qui non si sa veramente da dove cominciare. Dalle barriere architettoniche all’accessibilità ai bus; dagli insegnanti di sostegno all’integrazione lavorativa, il mondo della disabilità ha bisogno di decenni, ancora, prima di raggiungere livelli accettabili di tutela, anche dal punto di vista culturale. Il cammino è avviato e va seguito con pazienza e perseveranza. L’aspetto più grave, però, è culturale, di atteggiamento. Bisogna far entrare nella mentalità delle amministrazioni pubbliche che la disabilità è una condizione che può toccare a tutti, per gli eventi più svariati. Quindi, oltre agli interventi settoriali, è l’atteggiamento delle istituzioni che deve mutare, acquistando la capacità di trattare la disabilità come parte integrante del nostro mondo e del nostro modo di fare comunità.

(8. continua)

domenica 24 aprile 2016

Il Vulcanissimo alla conquista di Trieste. Settima puntata.

Vulcanissimo, il discorso sulla giunta in carica ci riporta alla città: negli ultimi cinque anni abbiamo avuto quattro diversi assessori alla cultura. Che riflessione facciamo?

Chiediamoci cosa significa essere assessori alla cultura di questo Comune. Da quello che ho visto sarebbe più opportuno dire “assessore ai musei comunali”. Solo di questo ho sentito parlare, e forse è giusto così: la politica dovrebbe tenersi lontano dalla cultura.

Si parla di museo diffuso del ‘900.

Museo del Mare, Museo Ferroviario, Istituto della cultura marittimo portuale, Museo d’arte orientale, Museo della cultura istriana, Museo del Risorgimento, Museo Sartorio, Museo Morpurgo e Museo de Henriquez… Aggiungiamo Il Faro della Vittoria, l’Ursus ed il Tram di Opicina e direi che possiamo ribattezzare Trieste come la Città dei Rottami e della Cianfrusaglie.

Un giudizio severo..

Chi non ha una storia cerca di costruirsela, e Trieste è un nitido esempio: qui vige la spasmodica esigenza di dare valore storico a qualsiasi insignificante residuo del passato. Il risultato è di avere dei contenitori inutili di materiale che non interessa a nessuno.

Beh, che c’è di male? … E magari i turisti possono interessarsene.

Di male c’è che si sprecano risorse, e parliamo di milioni di euro fra investimenti in strutture e personale. E mi dica lei quale turista affronta un viaggio di ore ed ore e programma un soggiorno in città per vedere le stoviglie dei Sartorio o i bossoli bucati di De Henriquez.

Ma la memoria della città va rispettata..

Rispettata ma non mitizzata, dando valore museale a semplici collezioni. Un conto è conservare, un conto è esporre. Teniamole pure, ma chiuse, visitabili a richiesta o in poche e determinate date. A parte il Revoltella, con il patrimonio artistico che ha e magari con quello che potrebbe essere lì traslato dal Sartorio, tutti gli altri musei non possono rimanere come esposizioni permanenti. Esiste anche un Museo della Bora, per esempio, ma è privato e visitabile su prenotazione. Questa è la formula da adottare anche per gli altri contenitori, magari affidandoli in gestione a soggetti privati che – per spirito di volontariato e passione – li possono rendere visitabili su prenotazione. Anche per la Kleine Berlin di via Fabio Severo funziona così.

E ci mettiamo anche il Tram?

Altro esempio di spreco inverecondo. E’ un rottame tenuto in vita a spese della collettività: va smantellato immediatamente. A meno che una società di appassionati non voglia sostenerne i costi di gestione, magari facendo pagare il biglietto in modo da mantenersi in pareggio.

Dicono che sia un’attrazione turistica.

Allora facciamo pagare il biglietto 5 euro per ogni corsa, e vediamo quanti turisti lo prendono.

Ma i triestini ci sono affezionati.

Anche i miei figli sono affezionati al maggiolone del nonno, ma questo non è un buon motivo per obbligarmi ad andare a lavorare con quello. Il Tram di Opicina può essere tenuto come attrazione da far circolare un paio di giorni all’anno, ma il servizio va sostituito con gli autobus. Risparmieremmo denari per le scuole, i servizi di assistenza, la pulizia strade…

E l’Ursus?

Non mi faccia bestemmiare..

L’hanno chiamato la Tour Eiffel di Trieste.

Vuol farmi arrestare?

Ok, va bene. L’attuale assessore alla cultura progetta di trasferire la biblioteca comunale nella ex Pescheria.

A parte che mi sembra un progetto inutile e dannoso, mi chiedo: cosa c’entra la cultura? Spostare fisicamente i libri da qui a lì è un’attività culturale? A me sembra materia per un assessore alla logistica, semmai. Sarebbe come se un docente di letteratura, durante le ore di lezione, insegnasse ai suoi allievi a montare le librerie Ikea, in base al principio che negli scaffali andranno i libri di Dante e di Leopardi.

Non si salva proprio nulla.

Siamo tornati ad un argomento già sfiorato. A Trieste la cultura, in una strana e deviata miscela con la promozione turistica e la memoria storica, sembra coincidere con l’idea di conservare ogni minima traccia del passato pre-italiano. Tutto quello che ha più di cento anni va recuperato. In assoluto. Poi, una volta recuperato un edificio o un qualche altro accidente, non si sa cosa farne e ci si inventano stravaganze per usarlo in qualche modo. Così si sprecano risorse prima, in recuperi e restauri, e dopo, in iniziative inutili pensate solo per usare quel che si è restaurato. Per tacere delle spese di custodia, manutenzione e di personale. E’ accaduto con la ex Pescheria, con il Magazzino delle Idee, con il Magazzino 26, con il Magazzino Vini, con l’Ospedale Militare, la Stazione idrodinamica eccetera.. E’ un lungo elenco, e si rischia di continuare con altre iniziative a vuoto..

L’ex Ospedale militare dicono sia un gioiello.

E qualcuno mi deve spiegare perché, fra le migliaia di studenti dell’Università di Trieste, devono esistere trecento privilegiati che stanno in tale paradiso. Che senso ha? Se si vuole fare un Campus lo si faccia per tutti, non solo per pochi privilegiati.

Il Magazzino vini andrà a privati, non va bene nemmeno quello?

No, ne abbiamo già parlato. Soldi dei triestini per garantire profitti a un privato: NCS. Non Ci Siamo.

Va bene, ma torniamo al Comune, alla ex Pescheria e alla Cultura. La ritrasformiamo in mercato del pesce?

Non sarebbe neanche sbagliato, ma ormai che c’è usiamola. Per una volta potremmo dare un senso all’espressione “restituire alla città”: mettiamola a diposizione dei triestini e dei non triestini per qualcosa di loro, e non per iniziative calate dall’altro e per di più episodiche, visto non ci sono risorse.

Cioè?

Potremmo utilizzarlo come area espositiva per artisti, come teatro sperimentale, come luogo di ritrovo per serate di musica e di ballo. E’ talmente grande che può contenere un’area espositiva da autogestirsi, un palco, un’area per la danza. Lei sa che a Trieste esistono gruppi spontanei di amici che si riuniscono periodicamente per serate di ballo (dal rock anni 80 al tango, dai balli ottocenteschi all’heavy metal), itinerando fra vari locali pubblici con la loro collezione di cd. Non esistendo più le discoteche, si adattano a essere ospitati in vari locali, con il problema del disturbo per i residenti e delle autorizzazioni dei titolari. Diamo loro uno spazio pubblico quasi gratuito (basta far pagare una quota per l’assicurazione e la corrente elettrica) e usiamo la ex Pescheria come punto di riferimento per la “movida” triestina e per fare musica, così non disturbiamo i residenti che vogliono dormire.

Una milonga sul mare..
 
Un nome comunque preferibile a “Salone degli Incanti” che non ho mai capito cosa vuol dire. Ma visto che si parla tanto di scarse opportunità di aggregazione per i giovani, questa potrebbe essere una prima risposta. Inoltre quella zona è ricca di bar e ristoranti; inserirci un’attrazione di quel tipo gioverebbe.

Abbiamo toccato il tema del turismo. Che cosa possiamo fare per attirare più visitatori?

Abbandonare l’idea che debbano essere gli enti pubblici a fare promozione. Fra Promotour, PromoTrieste e altre copie si spendono denari pubblici per strutture che non producono nulla. Sono gli operatori del settore a sapere cosa serve per richiamare turisti: lasciamo che albergatori, ristoratori ed esercenti gestiscano da soli la promozione. Il Comune deve fare altro: tenere la città pulita, ordinata, fruibile. I turisti, appena arrivati qui, dicono che la città è sporca.

Ma lei vuole chiudere anche i musei..

Tranne il Revoltella… Per gli altri vediamo i dati degli ingressi e mi darà ragione. Preoccupiamoci invece di avere negozi aperti più a lungo ed esercizi pubblici migliori. Parliamoci chiaro: l’offerta gastronomica in città è quella che è. Locali ce ne sono, ma la qualità? L’igiene? Il servizio? Gli orari di apertura? Si parla tanto di movida notturna, ma io dopo una certa ora vedo solo serrande abbassate. Vorrei locali aperti più a lungo, servizi igienici più puliti, camerieri più cortesi, interni più curati e più qualità. Guarderei in faccia i vertici delle associazioni di categoria e direi loro: signori, vediamo di migliorare un po’, e magari arriverà più gente.


(7. continua)

sabato 16 aprile 2016

Il Vulcanissimo alla conquista di Trieste. Sesta puntata.


Vulcanissimo, sospendiamo per un momento la discussione delle linee programmatiche e diamo uno sguardo alla campagna elettorale in corso, con quattordici-quindici candidati sindaco già in pista.
 
Segno di un’attesa sproporzionata nell’istituzione Comune. Soprattutto ora, con le ristrettezze finanziarie che sappiamo, il Comune è costretto a limitarsi a ben poco oltre l’ordinaria amministrazione. Ma la buona politica si vede proprio in questo: saper gestire l’ordinaria amministrazione al meglio e far fruttare l’intelligenza per andare oltre. Sono capaci tutti di raccogliere consenso spendendo a destra e a manca. Il bravo amministratore sa farsi apprezzare nei momenti di crisi.

Comunque i candidati che ambiscono al ballottaggio sono tre. Proviamo a valutarli, cominciando dal sindaco in carica. Come ha amministrato?

Non serve che mi scomodi io a dare giudizi. Mi pare che ci abbia pensato un senatore del suo stesso partito a bocciare l’attuale sindaco. Più chiaro di così! Senza contare che R.C. ha perso per strada pezzi di maggioranza, la sinistra e l’Italia dei valori. In pratica si ripresenta con il solo PD, ed il senatore triestino del PD ha detto che doveva farsi da parte. Direi che non serve altro.

Eppure non si è scoraggiato ed ha vinto le primarie.
 
Confondendo le carte ai suoi elettori. Già cinque anni fa, come tutti sanno ma fanno finta di non sapere, RC vinse grazie alla desistenza di una grossa fetta di centrodestra. E forse anche qualcosa di più di una desistenza: si trattò di una versione locale ed anticipata di patto del Nazareno. RC è forte di una riedizione del patto, e la scomparsa della sinistra dalla sua coalizione gli fa molto comodo.

Quindi ci sarebbe una fetta di centrodestra triestino che sosterrà sotterraneamente RC?
 
Esattamente.
 
E per quale motivo?
 
I triestini non riescono a vedere Trieste in un’ottica nazionale, continuano a pensare di vivere in un’isola (felice). E invece siamo inseriti anche noi nel contesto nazionale che condizione le elezioni locali.

Si spieghi.

La strategia di SB è sotto gli occhi di tutti: più che il suo partito gli serve tenere in piedi Renzi, e sa che una sconfitta dei candidati PD alle amministrative lo metterebbe in difficoltà. Quindi SB corre per perdere un po’ ovunque. Corre per perdere a Roma e sicuramente anche a Trieste. E’ significativo che il suo candidato RDP abbia escluso la componente civicamente più attiva della sua possibile coalizione.

E’ una visione un po’ dietrologica. Anzi, molto dietrologica.
 
Lei dice? Immaginiamo di guardare Trieste da Roma. RC si è iscritto all’area renziana del PD, che tiene in pugno maggioranza parlamentare e governo. RDP, anche se qui si fa finta di non saperlo, è il terminale in regione del partito di Alfano, che sta al governo con Renzi, anzi, ne è l’alleato più forte.

Quindi?

Quindi la sfida dei Roberti, lo scontro RC-RDP è fasullo. Sono alleati a Roma e, sotterraneamente, a Trieste.

E chi dei due corre per perdere?

Sicuramente RDP non ha molta voglia di vincere, in caso contrario non avrebbe scaricato la parte più attiva dell’area di centrodestra. Ma il punto non è qui. Chiunque dei due vinca, il giorno dopo correranno a mettersi d’accordo, magari sottobanco come è stato nei cinque anni appena trascorsi.

Addirittura.

Sappiamo tutti che Trieste ha un’eminenza grigia che governa chiunque vinca. E non vedo perché dovrebbe cambiare stile. Ha mantenuto la sua presa sulla città anche senza incarichi, continuerà a farlo.

Una specie di patto del Nazareno al kren, e l'oste sarebbe GC...

Esattamente, per continuare ad abbindolare gli elettori, qui come a livello nazionale.

Ma perché i partiti dovrebbero accettare di correre per perdere?
 
Hanno alternative? L’elezione del sindaco è una sfida fra nomi, non fra coalizioni, e i partiti si devono adattare. E poi se da Roma arrivano indicazioni in un senso non possono sottrarsi. Sono finiti i tempi dei politici che raccoglievano il consenso sul territorio e andavano dai leader nazionali a portare voti, ragioni ed istanze. Adesso sono i leader nazionali a concedere in franchising il simbolo ai rappresentanti locali, che di loro non valgono nulla. Quindi zitti, muti ed obbedire.

Quindi anche qui due finti avversari che pensano prima di tutto a far fuori i 5*, che invece rischiano di vincere…

E di naufragare subito dopo. Pizzarotti vinse a Parma promettendo lo stop all’inceneritore di Ires, e poi è stato lui stesso a metterlo in funzione. Qui PM promette la stessa cosa per la Ferriera, che nessuno chiuderà mai.

Un quadro sconfortante. Ma cosa spinge la politica a tradire così vilmente i triestini?

L’impoverimento generale. La politica triestina ha vissuto di vacche non grasse, obese, per decenni. Ora che le cose vanno un po’ meno bene sono presi dal panico di dover fare troppe rinunce. Hanno mogli e figli da sistemare, amici, famigli. Uno scontro vero ed una sconfitta vera li metterebbe a terra: meglio imboccare una strada inciucista che, vada come vada, garantisce qualcosa a tutti. A scapito della gente comune. Tenga conto che i barili in cui raschiare sono sempre di meno e sempre più vuoti. L’Acegas è stata una grande mangiatoia, ed in parte molto ridotta lo è ancora, ma i bolognesi non li lasceranno fare ancora per molto. La Cassa di Risparmio ha foraggiato tutto e tutti, ma ora che la fondazione è stata saccheggiata, da lì viene ben poco. Le Coop operaie non ci sono più, Friulia deve fare i conti con se stessa e Mediocredito è un buco nero. Ripeto: il grasso da raschiare è sempre meno, anche perché da Roma arriva poca roba, ed è meglio spartirselo fra amici.

Sembra un proclama da 5*: facciamo piazza pulita.

La premessa porterebbe a ciò. Ma se anche mandi via tutti con chi li sostituisci? E chiunque tu metta, cosa previene dal ripetere i comportamenti deleteri? La soluzione 5* è illusoria: azzerare tutto colpisce prima di tutto chi ha di meno, mentre chi detiene il potere trova sempre il modo per mettersi in salvo e, anzi, nel torbido del repulisti trova il modo di fare incetta.

Quindi?

A livello locale e nazionale serve una terza via. Bisogna individuare le cose che vanno bene e distinguerle da quelle che non vanno, separare il grano dal loglio e portare il grano ai mulini che funzionano.

Facile a dirsi, ma qual è lo strumento?

Meno burocrazia e più giustizia. Moralità e buonsenso.

Dove li troviamo?

Abbondano ovunque, tranne là dove si governa.


(6. continua)

sabato 26 marzo 2016

Il Vulcanissimo alla conquista di Trieste. Quinta puntata.



Vulcanissimo, dopo le brutture dobbiamo sollevarci il morale. Qualcosa di bello ci sarà da dire..

Trieste è bellissima, non c’è dubbio. Peccato che i triestini facciano poco o nulla per meritarsi tale bellezza e sembrino adoperarsi per imbruttire la loro città. Lo dice anche il Piccolo di oggi (26 marzo NdR): il primo commento dei turisti è che la città è sporca e trascurata. Si guardi intorno. Alcuni dettagli, seppur minimi, denotano un senso estetico direi bassino.

Per esempio?

Le edicole.

Le edicole?
 
Le edicole vecchio tipo, quelle in lamiera grigia. Il centro storico ne è disseminato e sono deturpanti. Vanno trasferite nei fori commerciali. Si dà un incentivo agli edicolanti perché chiudano l’orrido chiosco e traslochino in un locale più idoneo. Sarebbe più salubre anche per loro: d’inverno, con la bora, non credo sia allegro starci dentro. Non voglio fare esempi specifici ma basta guardarsi intorno.

Eliminando le edicole risolviamo il problema?
 
No di certo, bisogna riqualificare l’aspetto urbano in generale, anche in chiave turistica, ma non solo. Trieste non ha un elemento di richiamo turistico come gli Uffizi a Firenze, i Musei vaticani a Roma o il fascino di Venezia. Il suo punto di forza è l’unicità dell’architettura urbana per una città sul mare. Ma bisogna valorizzarla ed esaltarla. Troppi edifici storici, di pregio, versano in condizioni pessime e molte vie centrali o semicentrali sono trascurate, se non degradate. Serve un piano di recupero edilizio delle facciate storiche: incentivi regionali e comunali per risanare e conservare le facciate degli edifici che hanno almeno un secolo di vita. E’ inaccettabile vedere palazzi del centro scrostati e malamente “messi in sicurezza” con interventi grossolani. Ce ne sono ovunque, anche su piazza Ponte rosso. Quando li vedo non posso che pensare che i triestini non amano abbastanza la loro città, anzi, nemmeno la loro casa. Poi bisogna recuperare il decoro nelle vie abbandonate a loro stesse. Un esempio: via Battisti. Entrambi i marciapiedi sono ingombri di ogni schifezza: auto in sosta, edicole …

Aridaje..

… edicole, chioschi di fiori e di caldarroste, cassonetti – sono più di trenta – cabine Enel, tabelloni
pubblicitari; insomma: un suk. Bisogna sgomberare tutto.

E dove lo si sposta?

Le auto non possono sostare su un marciapiede, punto. Di edicole e chioschi ho detto ed i cassonetti vanno collocati in isole ecologiche nelle vie laterali. Basta buon senso e collaborazione con gli esercenti. I quali hanno ragione a dolersi dell’abbandono e vanno esortati a collaborare. Cammineranno un po’ per gettare l’immondizia ma avranno un marciapiede libero.

Altri esempi?

Basta guardarsi intorno: via Rossetti, via dei Piccardi, via Diaz, via Cadorna, via Lazzaretto vecchio... Abbiamo già detto che bisogna ridurre le auto in sosta con il sistema dei parcheggi a pagamento per i non residenti. L’attuale giunta aveva annunciato attenzione per le periferie, ma io non vedo attenzione nemmeno per il semicentro. Solo qualche cretinata nel solito Borgo teresiano, il nulla.

Cretinata?

L’intervento in piazza Ponte rosso non mi sembra riuscito. Ribadisco che bisognerebbe pedonalizzare via Roma, ma non basta buttar lì due masegni per dire di aver riqualificato una piazza storica. E comunque un anno di tempo per un lavoro del genere è inaccettabile.Un ultima nota per foro Ulpiano: vorrei capire a chi piace così come è. Con il prato per deiezione canina, i camminamenti in cemento armato e le casematte per l’accesso al parcheggio. Un obbrobrio. E taccio su piazza Goldoni..

No, no.. dica

C’è da dire? Il Muro dei Fucilati, il Grande Orinatoio e lo Scopino Gigante. 

C’è tanto lavoro da fare, quindi, ma con le ristrettezze finanziarie…
 
Intanto si comincia. Se avessimo iniziato per tempo con opere di buon senso adesso potremmo aver raggiunto qualche risultato. Sono stati sprecati anni e milioni di euro. E si continua a sprecare..

Dove?

Il Magazzino vini, per dirne una.

Ma quella non è opera del Comune.

Della Fondazione CRT, che gestisce un patrimonio pubblico: Comune, Regione, Provincia. Quindi sono soldi nostri che dovevano essere spesi diversamente.

Cosa c’è che non va nel progetto Eataly? Lei che avrebbe fatto? Il Centro congressi, come doveva essere?
 
Né Eataly né congressi. Andava buttato giù. Era un rudere privo di qualsiasi valore artistico e la collettività, a quel che leggo, ci ha investito ventitré – dico ventitré – milioni di euro, che probabilmente in realtà sono molti di più.

Ma nascerà un gioiello della ristorazione.
 
Privato. Che darà profitti a un privato. I triestini pagano e altri fanno profitti. Con altri soldi dei triestini, che pagheranno 10 euro per un trancio di pizza. Che sarà anche speciale, ma pur sempre trancio di pizza è. Sono curioso poi di sapere i termini dell’affitto, tenuto conto che l’operazione è già di per sé di dubbia trasparenza, perché un bene che di fatto è pubblico viene concesso senza gara, a trattativa privata. Leggo di un canone di 400mila euro annui. Quindi ci vorranno sessant’anni per rientrare dell’investimento per il recupero. Le pare sensato? Fossimo un Comune che può buttare soldi capirei, ma invece ci dicono che i soldi non ci sono. Però per fare regali a Farinetti li hanno trovati. Mi chiedo poi quale sia la clausola rescissoria: se Eataly decide di recedere dal contratto, quanto paga di penale? Perché in quel caso ci troveremmo un mostro sulle Rive, fatto e pensato per Eataly e quindi inutilizzabile. Se dovesse venir abbandonato ci ritroveremmo con un nuovo mostro urbano. Al modico prezzo di 23 milioni di euro.

La vedo alterato.
 
Come prima cosa metterò in discussione la gerenza della Fondazione CRT.

(5. continua)

mercoledì 23 marzo 2016

Il Vulcanissimo alla conquista di Trieste. Quarta puntata.


Vulcanissimo, è venuto il momento di affrontare il tema più caldo (in tutti i sensi) delle ultime campagne elettorali: la Ferriera.

Se il Porto vecchio è stato il grande alibi della politica triestina per trent’anni, la Ferriera è stata il grande crimine. Verso i triestini che si sono ammalati ma anche verso tutti gli altri, ingannati da montagne di parole ingannevoli.

Ne dica una di queste parole ingannevoli.

“Eccellenza”. A Trieste la si usa a piene mani, per la Sanità, per l’economia, per la qualità della vita, per l’amministrazione “asburgica”, per l’imprenditoria, per l’informazione, per la Giustizia.

E invece?

E invece la Ferriera è la prova palmare che Trieste non eccelle in niente. Non nella sanità, se si tiene un mostro inquinante a ridosso delle case; non nell’economia, se l’unica industria superstite è a continuo rischio chiusura, o per ragioni politico-sanitarie o per ragioni economiche; non nella qualità della vita, se i parametri ambientali sono cronicamente affetti dalle emissioni di Servola; non nell’amministrazione, se Regione e Comune, in venti anni, non sono riusciti a fare neppure un minimo passo in avanti sulla questione emissioni; non per l’imprenditoria, se tutto quello che si sa fare è supplicare gruppi esterni di venire qui a non investire ed a far finta di riqualificare-risanare; non per la stampa locale, che nasconde ai triestini che la  Ferriera è la Ilva del Nordest ed ha sulla coscienza venti anni di disinformazione; non nella Giustizia, visto che la Procura, in tema, ha inanellato una serie di provvedimenti, diciamo così, fittizi.

Una Caporetto.

La Caporetto di una classe dirigente locale inadeguata, pavida, impreparata e al tempo stesso tronfia e mendace.

Ma cosa si doveva fare?

Eccellenza, in questo caso, significava dimostrare che l’industria pesante, la siderurgia, la città e la natura – la splendida natura di questo golfo – possono convivere. Se la questione Ferriera fosse stata affrontata per tempo, adesso potremmo dire di aver mantenuto una produzione importante per la città salvaguardando la qualità dell’aria e dell’ambiente. Potremmo additare il modello Trieste alla realtà di Taranto ed a tante altre analoghe. Bastava copiare dagli altri paesi gli esempi in cui impianti siderurgici operano a ridosso delle città. Invece Trieste si è ottusamente divisa fra chi proclamava di voler chiudere la Ferriera per ragioni sanitarie e chi la voleva tenere in vita per ragioni economiche, vaneggiando di riconversioni che nessuno ha mai realmente preso in considerazione. E così la Ferriera ha rischiato di chiudere per ragioni economiche ed ha continuato a operare malamente, inquinando ed aggravando di giorno in giorno il suo stato. In venti anni, con pragmatismo e buon senso, avremmo potuto renderla compatibile.

E adesso?

Nessuna illusione, niente promesse miracolistiche. Bisogna prendere atto del tempo perso e fare ora quel che bisognava fare allora. Ma senza prendere in giro la gente. A Taranto è lo Stato che si è fatto carico dell’impresa e del suo adeguamento. Qui abbiamo Friulia e l’autonomia: è tempo che si trovino i fondi per entrare nel capitale della Ferriera e imporre le opere indispensabili alla sua compatibilità ambientale. Ma dal di dentro, inserendo nel CdA della società esponenti nominati dalle istituzioni che possano decidere. Non ci si può limitare a fare la voce grossa ogni tanto, ad alzare il ditino contro la proprietà affinché faccia quello che ha dimostrato di non voler fare. Andiamo a rivedere gli interventi delle istituzioni in questi anni: una comica teoria di diffide, ingiunzioni e prescrizioni da parte di uffici regionali e magistrati, tutte regolarmente disattese.

Non sarebbe più semplice chiudere l’area a caldo, riconvertire come dicono in tanti?
 

Se fosse così, se fosse semplice, l’avrebbero fatto; temo invece che riconversione sia una parola vuota.

E chiudere tutto?

Questo è il vero incubo. Se lo immagina quel sito abbandonato? Lo guardi dall’alto con Google Earth: è più vasto del Porto vecchio. Ci ritroveremmo con un mostro ambientale ingestibile. Un deserto super inquinato la cui bonifica richiederebbe investimenti insostenibili. Se nessuno parla più di chiusura della Ferriera il motivo, per me, è questo: dal giorno dopo avremmo un problema irrisolvibile, un Porto vecchio moltiplicato per cento dal dramma della bonifica. La verità è tragicamente questa: la Ferriera deve rimanere in funzione, se non altro perché operando il sito rimane sotto controllo. Ma serve un massiccio intervento statale e regionale per l’adeguamento. La Regione dovrebbe smettere di baloccarsi con inutilità come le Uti ed affrontare le questioni autentiche sul tappeto.

Ma un intervento regionale o statale sulla Ferriera incontrerebbe ostacoli a più livelli, anche europei. Privatizzare gli utili e socializzare le perdite, si diceva una volta.
 
Quando ci sono di mezzo la salute ed il lavoro, le obiezioni devono essere superate, in un modo o nell’altro. Non si tratta di socializzare le perdite, ma di socializzare la salute. Perché in effetti la salute è un bene pubblico. Non si può affidare la salute di un intero quartiere, se non di un’intera città, alla presunta buona volontà di un privato. Il quale, come ben si sa, è interessato solo al profitto.

Molti pensano che la Ferriera sia ontologicamente anacronistica, un corpo estraneo da espungere, l’eredità di una passato da rimuovere, un mostro deturpante da eliminare dal corpo di una città marittima non più votata all’industria.

Cancellando l’industria uccidiamo la città. Allora che si dica che si vuole fare di Trieste un borgo, un mega ospizio, un agglomerato di ruderi. Torniamo al punto di partenza: l’industria va salvata a tutti i costi, non solo nell’interesse di Trieste o dei lavoratori di Servola, ma di tutta l’Italia. Chi ci paragona alla Grecia, ventilando per noi un analogo dramma economico, sbaglia, perché dalla Grecia ci distingue quello che rimane del nostro patrimonio industriale. Che però va difeso a tutti i costi, anche se è ridotto male come la Ferriera. Per cui ribadisco che dobbiamo lanciare la sfida del mantenimento dell’impianto, cambiando tutto, se serve, ma senza chiusure o ridimensionamenti. E i capitali non possono che venire dal pubblico. Il risanamento, autentico, deve essere il primo passo verso la re-industrializzazione di Trieste.


(4. continua)

lunedì 21 marzo 2016

Il Vulcanissimo alla conquista di Trieste. Terza puntata.


Signor Vulcanissimo, riprendiamo da dove ci eravamo interrotti, il Porto vecchio. Al di là delle perplessità, credo che anche lei abbia pensato a qualcosa. Dimentichiamo le ristrettezze e immaginiamo di avere tempo e denaro a disposizione, sogniamo.. Cosa ci farebbe?

L’unica cosa sensata sarebbe un Centro direzionale. Spostare in Porto vecchio le principali strutture pubbliche: Palazzo di Giustizia, prefettura, questura, uffici regionali, e pure Catasto, Tavolare, Agenzia delle entrate, INPS..  eccetera. Insomma un luogo dove uno va e trova tutto senza diventare scemo per trovare parcheggio in giro per Trieste. Certo che poi si aprirebbero altri problemi..

Cioè?
 
Se spostiamo lì gli uffici pubblici, si svuota il corpo della città e nasce, o, meglio, si aggrava, il problema di come riutilizzare gli stabili abbandonati. Che ne faremmo dell’attuale Palazzo di Foro Ulpiano, per esempio? In compenso si darebbe un bel taglio al problema dei parcheggi, togliendo dal centro il flusso veicolare che si convoglia sugli uffici sparsi nelle varie sedi.

E in un colpo solo abbiamo toccato tre temi non da poco: traffico, parcheggi e recupero edilizio. Argomenti che tengono banco da sempre.
 
Cominciamo dal traffico. Quindici anni di chiacchiere su un piano traffico che non è mai stato realizzato. Ci sarà un motivo, le pare?

E qual è?

Trieste non ha bisogno di un piano del traffico. Perlomeno non di un piano organico che ridefinisca le linee generali dei flussi veicolari.

Ah no?

Lei vede ingorghi? Vede arterie inutilizzate? Vede vie sovraccariche? A parte qualche fisiologica criticità in certi orari, il traffico automobilistico è scorrevole e stabile da anni. E grazie alla bora l’inquinamento atmosferico è sotto controllo. Quindi non vedo ragioni di rivoluzionare tutto, anche perché non esistono margini di modifica sostanziale. La città è questa, le arterie sono queste e non possiamo crearne di nuove. A meno di non voler asfaltare il golfo o scavare un tunnel nel ciglione carsico.

Immobilismo totale?

No, lentamente, senza traumi, si possono portare migliorie. Ma senza fantasie tipo la chiusura alle auto di Corso Italia, che potrà piacere ai commercianti, ma è irrealistica. Il traffico che passa di lì dove lo convogliamo? 

E la pedonalizzazione di via Mazzini?

Quella non l’ho capita, e, visto come è finita, evidentemente nemmeno chi l’ha fatta. Fino a quando il traffico automobilistico privato esisterà, dobbiamo accettare il principio che le vie che reggono traffico devono essere percorribili, mentre la pedonalizzazione può riguardare strade strette, brevi, che non sopportano un traffico rilevante e che quindi possono essere chiuse senza impatto negativo sulla fisiologia dei flussi. In questa ottica via Mazzini, che regge importanti linee di autobus, non può venire chiusa. In quella zona, piuttosto, si potrebbe ragionare sulla pedonalizzazione di via Roma, fra e delle vie San Spiridione e Filzi fra Corso Italia e via Valdirivo, deviandone i flussi, rispettivamente, sulle Rive e su via Carducci.

I vantaggi quali sarebbero?
 
Creeremmo un’isola pedonale lungo tutto il canale, dal mare fino a piazza S. Antonio, comprendente piazza Ponte Rosso, che al momento è tagliata a metà dal traffico di via Roma. Come se lei, in casa sua, per andare in bagno, dovesse attraversare il soggiorno.

Vedo qualche difficoltà nelle vie adiacenti, e comunque anche lei insiste nel medesimo segmento della città.

Ha ragione, si può intervenire anche altrove. Butto qualche esempio: via San Francesco. E’ talmente stretta che non contiene auto in sosta e neppure regge un traffico significativo. Nel tratto da piazza Giotti a via Carducci la si potrebbe pedonalizzare, deviandone il traffico su via Battisti. Otterremmo il risultato di rivitalizzare una zona del centro che è stata completamente trascurata. I commercianti della zona hanno ragione a dolersene. Anche nel dedalo di vie in zona Ospedale Maggiore, fra Rossetti, Piccardi, Conti, Foscolo e Pascoli si possono fare delle mini-chiusure che, senza modificare la circolazione, potrebbero dare respiro alla zona e riqualificarla. Insomma, interventi mirati e ragionati che non alterano l’impianto della circolazione ma danno respiro alle singole aree del centro.

Null’altro sul problema del traffico?

Detto che il tunnel di piazza Foraggi resta una vergogna da cancellare quanto prima, Trieste si caratterizza per una serie di tante piccole criticità. Doppi sensi in vie strettissime che diventano alternati in presenza di autobus, precedenze illogiche non segnalate, viottoli che dovrebbero essere pedonali e invece sono percorribili. Una qualche razionalizzazione si può e deve fare. Ne dico una: la rotatoria allaconfluenza fra via Flavia e strada della Rosandra non può essere rinviata. Ma più grave è sicuramente il problema dei posti auto, dei parcheggi in strada.

Ecco. Come la mettiamo?

L’idea di risolvere la questione coi parcheggi multipiano si è rivelata fallimentare. La gente non può permettersi di spendere cifre folli per un box auto: siamo a Trieste, non a Montecarlo. Cinquantamila euro per un box, cui vanno aggiunti gli oneri di gestione del parcheggio sono un controsenso, tanto più che non essendo stata vietata la sosta a bordo carreggiata, la gente ha mantenuto la vecchia abitudine di parcheggiare in strada.

E allora?

I quartieri del centro vanno divisi in sottoaree nelle quali la sosta in strada deve essere gratuita per chi in quell’area risiede o possiede la propria attività (tipo un negozio), mentre per tutti gli altri deve essere a pagamento.

Questo risolverebbe il problema?
 
Non definitivamente e non del tutto, ma sarebbe l’inizio della soluzione. Questo sistema darebbe più spazi ai residenti, garantirebbe introiti al Comune e fornirebbe una indicazione diretta delle esigenze reali di posti auto nelle zone centrali, su cui ragionare per trovare una soluzione definitiva. Inoltre, là dove vi sono parcheggi multipiano già realizzati, penso per esempio a via Fabio Severo o a via del Teatro romano, bisogna avere il coraggio di vietare la sosta in strada per incentivare l’uso dei parcheggi stessi.


(3. continua)

sabato 19 marzo 2016

Il Vulcanissimo alla conquista di Trieste. Seconda puntata.



Signor Vulcanissimo, è venuto il momento di passare ai contenuti. Nelle ultime settimane ha tenuto banco la proposta di creare la città metropolitana.

Idea vecchia di anni, sposata ora da persone che in passato l’avevano osteggiata. E’ solo aria fritta, dal momento che neppure nelle città per le quali è stata pensata si sta realizzando. In ogni modo l’orientamento generale è di istituire la Città metropolitana là dove vi è almeno un milione di abitanti. Quindi, per Trieste, stiamo parlando di niente.

Allora perché se ne discute? 

Si parla di Città metropolitana come anche di provincia autonoma, di Mega Uti, di fusione con Gorizia o di Territorio libero di Trieste. Mi meraviglio che nessuno abbia rispolverato l’Adriatisches Kustenland o proposto l’Unione delle repubbliche marinare dell’alto Adriatico.

Mettere tutto sullo stesso piano sembra una provocazione.

Provocazione che serve a far capire che è politicamente disonesto far credere agli elettori che il futuro della città possa cambiare creando nuove strutture amministrative. La burocrazia crea lavoro per i burocrati e basta.

Quindi fumo negli occhi?

E’ sotto gli occhi di tutti che la città di Trieste coincide con il Comune, ed è il Comune che deve occuparsi dei problemi, altro non serve. La Provincia aveva la funzione marginale di integrare con la città aree minori non assimilabili per ragioni linguistiche e storiche. Essendo, proprio per questo, un istituto utile hanno pensato bene di abolirlo.

Bocciatura totale.

Purtroppo la retorica politica prevale sul buon senso ed a farne le spese sono i cittadini.

Ma chi propone la città metropolitana sostiene che arriverebbero 50 milioni di euro.

E cosa ci facciamo con 50 milioni di euro? Non bastano neppure per risanare palazzo Carciotti. Rivoluzionare le istituzioni per avere due soldi mi pare una stupidaggine. Non avendo idee su quello che si può fare, la gente butta là idee a casaccio, facendo credere che da esse scaturirà chissà cosa. Invece se ci sono progetti buoni li si può realizzare con le istituzioni esistenti, anche con un commissario. Bisogna averli però, i progetti buoni.

E allora che progetti facciamo?

Siamo in epoca di vacche magre. Dobbiamo gestire l’esistente e porre le basi per il domani. La chiusura di Ezit e di Sviluppo Italia è una buona notizia. Deve essere il Comune in primis a cercare le soluzioni per riportare investimenti produttivi nella zona industriale. Esiste un assessore comunale alle attività produttive, ma mi risulta che attualmente si occupi di attività produttive in Slovenia. Ecco, forse sarebbe meglio un assessore che si dedica alle attività produttive a Trieste. Partiamo dalle imprese vicine, friulane e venete, e vediamo cosa possiamo fare per portare qui linee produttive. Il porto offre vantaggi considerevoli, la fiscalità è favorevole ed il Comune può studiare forme di agevolazione.

Ma il progetto dei progetti è il riuso del Porto vecchio.
 
La stasi del Porto vecchio è stato il grande alibi della politica cittadina per almeno trent’anni. Ci dicevano: “va tutto male perché il Porto vecchio è fermo. Appena lo potremo riutilizzare Trieste risorgerà”. Bene: ora l’alibi è caduto e voglio vedere cosa succede. Ovviamente non si può che essere favorevoli ad una riqualificazione economicamente valida, ma non ho ancora capito cosa pensano di farci. Voglio dire: fra tutti quelli che parlano di riuso, ce n’è almeno uno che ha fatto una proposta concreta e credibile? Dico una. Da quello che leggo il Comune paga una società che va in giro a proporre il Porto vecchio a destra e a sinistra, senza un piano, neppure di massima, e senza alcun vincolo di risultato. Poi magari questi tornano qui e ci dicono: “spiacenti, del vostro Porto vecchio non frega niente a nessuno. Ecco il conto per la nostra consulenza”.

Va bene, ma uno sforzo va fatto comunque.

Io la metto così. Se a qualcuno interessa il Porto vecchio o una sua parte, venga a Trieste e ci dica cosa vuole fare. Vedremo il progetto e valuteremo. Andare in giro con il cappello in mano ci espone al rischio di perdere tempo e denaro o, peggio, di importare in città meri speculatori.

Il palazzo dei congressi al Silos è una proposta concreta.

Ma congressi di che? Con chi? Guardiamo in faccia la realtà: Trieste è una città irraggiungibile. L’Alta velocità ferroviaria non arriverà mai (per fortuna) ed è un miracolo se riusciamo a mantenere i pochi collegamenti ferroviari che abbiamo; l’aeroporto è una barzelletta e automobilisticamente siamo remoti da tutti. L’idea di fare congressi a Trieste è surreale. Senza contare che la crisi ha colpito duramente il turismo congressuale anche là dove era consolidato.

Eppure l’attuale sindaco ha annunciato il progetto come certo.

Se è per quello era certo anche il parcheggio interrato sulle Rive. Ne ha più sentito parlare? Forse voleva solo litigare con la sua minoranza interna.

Mettiamo il Palazzo dei congressi nell’elenco delle promesse di Pulcinella?

Un palazzo dei congressi Trieste ce l’ha, la Stazione marittima. Fa schifo ma c’è. Potremmo rimodernare quello, tanto per parlare di cose sensate e non di sogni che non vedremo mai realizzati.

Questo discorso vale anche per il concetto stesso di riuso del Porto vecchio, a quello che capisco. E’ un’area definitivamente persa secondo lei? Proprio non ci si può fare nulla?

Non sono un urbanista, né un imprenditore 3.0. Se qualcuno ha idee realizzabili è benvenuto, ma dobbiamo fare i conti con la realtà. In quell’area ci sono enormi magazzini vincolati dalla Sovrintendenza, strutture antiche e pensate per contenere merci. Trasformarli in edifici ad uso diverso ha costi enormi e la funzionalità del risultato è tutta da dimostrare. Francamente le perplessità sono tante. L’affaccio sul mare è un fatto unico, ma come lo si sfrutta? Io sono d’accordo con chi dice che è un sito estremamente suggestivo, addirittura fascinoso. Ma la suggestione ed il fascino non si vendono.

C’è il mare, si parla di turismo.

E’ un mare portuale, non balneabile. E prendete l’esempio della Maddalena. Lì c’è il mare della Sardegna, il progetto lo hanno fatto i migliori architetti. Eppure sta andando tutto in malora.

Quel che non va altrove potrebbe funzionare qui.

Anche noi abbiamo il nostro precedente: Porto san Rocco. Andiamo a rileggere cosa si diceva delle magnifiche sorti della rinata Muggia grazie a quel progetto. Doveva cambiare la storia di tutto il territorio. Ho perso il conto di quanti fallimenti ha messo in fila la società Porto san Rocco. Con il Porto vecchio rischiamo di ripetere l’esperienza moltiplicata per mille. E a chi dico io credo stiano fischiando le orecchie.

Va bene signor Vulcanissimo, ci ha un pochino depressi ma continueremo la conversazione..

(2. continua)

giovedì 17 marzo 2016

Il Vulcanissimo alla conquista di Trieste. Prima puntata.



Le amministrative si avvicinano e bora.qua ospita il meno visibile fra tutti i candidati a sindaco di Trieste. Il vulcanico ed amatissimo, che spesso abbiamo ospitato e che da oggi chiameremo il Vulcanissimo, ci chiede di rompere il muro di silenzio che la stampa locale ha creato attorno a lui, per impedirgli di insidiare i candidati mainstream Cosolini e Dipiazza. Lo ospitiamo volentieri (ma non alla triestina) in una serie di dialoghi sulla città e sul programma.

Signor Vulcanissimo, Trieste sceglierà il sindaco per il prossimo quinquennio, da dove cominciamo?

Innanzitutto dobbiamo fare una riflessione su Trieste, perché senza una visione generale non si va da nessuna parte.

Va bene.

Cominciamo quindi col dire che la narrazione che si fa in città, sulla sfortuna di Trieste, sulla persecuzione della storia, è fuorviante, al limite della falsità. Trieste è una città fortunata che non sa sfruttare il suo destino. Il confine con la ex Jugoslavia è stato ed è un elemento di ricchezza. Basti dire che in città c’è chi si è arricchito vendendo blue jeans. E’ un dono avere un porto commerciale, che è come avere una miniera, con la fortuna aggiuntiva che non bisogna faticare per estrarre il materiale: la merce ti viene da sola in braccio, devi solo raccoglierla. Senza contare che un'industria impiantata in un sito portuale ha un vantaggio automatico nell'approvvigionamento di materie prime. E’ una fortuna il clima, compresa la bora che risolve i problemi di inquinamento ambientale ripulendo periodicamente l’atmosfera dallo smog. E’ una fortuna la bizzarra e fascinosa bellezza di una città neoclassica affacciata sul mare, un unicum europeo. Ed è soprattutto una fortuna gigantesca essere capoluogo di una regione autonoma, status che garantisce un regime fiscale di vantaggio e risorse che le regioni a statuto ordinario si sognano.

Quindi basta piangersi addosso?

Basta piangersi addosso ma soprattutto basta sprecare le fortune che abbiamo. I regali che la storia ci ha fatto.

Quali sprechi?

Detto che il porto funziona a meno di un terzo delle sue potenzialità, a Trieste, per decenni, si sono buttati soldi dalla finestra. Basta guardarsi intorno e ci si accorge che è tutto doppio: due ospedali, due stadi, due palazzetti dello sport, quattro teatri.. svariati spazi espositivi praticamente inutilizzati e se non fosse per litigi e ripicche avremmo due palazzi dei congressi e chissà cos’altro. Basti citare i deliri sul parco del mare. In più ci siamo lanciati in recuperi edilizi senza alcuna programmazione, investendo risorse immense in progetti irrazionali: il magazzino 26, la ex pescheria, il magazzino vini, la stazione idrodinamica, l’ex ospedale militare, la sala Tripcovich, la caserma Beleno, il museo De Henriquez..

Non tutte sono opere del Comune..

Infatti sto parlando della città nel suo complesso. Tutte le istituzioni hanno partecipato alla fiera delle castronerie. L’importante è mettere un freno a questa idea dell’intervento alla sperindio. Non si possono investire denari in un’area della città senza avere un’idea precisa di cosa farne, e su quanto se ne può ricavare in termini economici, come nel caso della ex pescheria. Lo dico perché con la sdemanializzazione del Porto vecchio rischiamo di ripetere i vecchi errori moltiplicati per mille.

Ne riparleremo... Resta il fatto che la città soffre una grave crisi economica ed occupazionale, qualcosa bisognava e bisognerà pur fare.

Risanare ruderi non porta lavoro e non crea ricchezza. La crisi economica ed occupazionale di Trieste è scritta in dati che tutti conoscono ma che nessuno osa citare: nel territorio provinciale, su cento occupati, due lavorano nell’agricoltura, tredici nell’industria e ottantacinque nei servizi. Con questi numeri – che nemmeno Londra o New York hanno – qualsiasi territorio sprofonda. Trieste muore di terziario, soffoca di uffici e di impiegati: senza produzione non si va da nessuna parte. Ecco perché il Friuli, che non è certo una potenza industriale ma ha solo qualche piccola o media industria, sta sopravanzando Trieste in tutto. La vera disgrazia della città è stata la deindustrializzazione, il resto è folklore. Purtroppo temo che si sia diffusa fra i triestini l’idea che lavorare consista in prendere un diploma o una laurea a caso e poi andare a caccia di una raccomandazione per entrare alle Generali, in Regione, nell’Azienda sanitaria, in Acegas o in qualche altro ufficio pubblico. Ora che tutto è saturo, il lavoro – questo tipo di lavoro – è diventato un miraggio.

Insomma la colpa dei problemi di Trieste è dei triestini?

Come per Milano ed i milanesi. Ma qui, in nome della specificità di Trieste, di una sua presunta e millantata eccellenza, ci siamo sottratti al confronto con il resto dell’universo, convinti di avere qualcosa in più. Invece era qualcosa in meno. Così abbiamo preso strade sbagliate e le abbiamo pagate a caro prezzo.

Per esempio?

Privatizzare Acegas ci ha poi costretto a cederla ai bolognesi. Le manie di grandezza di Coop operaie ha obbligato la città a supplicare le coop emiliane di salvare il salvabile. E la gestione perlomeno discutibile del patrimonio della fondazione CRT ne ha impoverito i soci, ovvero Comune, Provincia e Regione. E si potrebbe continuare, anche nel settore privato.

Capita di sbagliare, nessuno ha la sfera di cristallo.

Vero, ma che qui ci siano una visione distorta della realtà ed una mania di grandezza spropositata è testimoniato dal caso dello stadio Rocco. Un impianto nuovo da trentamila posti per una città che non ha squadre di calcio. Ci siamo arrivati per un ottuso e cieco gigantismo. Bastava guardarsi intorno e prendere esempio da città come Firenze o Bologna, che hanno un bacino di un milione di persone, quintuplo di Trieste, e si tengono stadi più piccoli risalenti agli anni trenta.

Scenderemo nei dettagli in seguito. Per concludere questo primo colloquio?

Guardiamo Trieste per quello che è per quello che ha. Non per quello che aveva, che vorremmo avesse o per quello che sarà fra cento anni grazie ai nostri sogni. Teniamo i piedi per terra e pensiamo all’esistente.


(1. continua)