Il progetto, costato milioni di euro, era pronto, ma in
realtà nessuno lo voleva realizzare. Non c’è triestino che non si domandi
come possa essere arrivato ad un passo dalla messa in opera un impianto che
Regione, Provincia e Comune vedevano come il fumo negli occhi. Bora.qua è in
grado di svelare i retroscena di questa oscura vicenda, che costituisce uno dei
tanti esempi di spreco di denaro pubblico.
Negli uffici del Ministero dello Sviluppo economico si
discuteva della possibilità di costruire uno o più impianti di rigassificazione,
ma il problema era trovare l’ubicazione, superando le resistenze degli enti
locali. Non siamo in grado di definire esattamente il periodo, ma possiamo dire
che il dicastero contattò le autorità di numerose città costiere (Ravenna,
Genova, Ancona, Taranto, Livorno..) ottenendo sistematicamente secchi rifiuti:
non ne volevano nemmeno sentir parlare. Venne il nostro turno ed il ministro in
persona telefonò al sindaco di Trieste, domandandogli se acconsentiva
all’installazione di un rigassificatore nel golfo della città. La risposta fu
laconica e senza appello: “Volentieri”.
Cosa intendesse il nostro primo cittadino, è chiarissimo:
nessun rigassificatore nel mare di Trieste. Ed anche per il ministro la
risposta era chiarissima, ma nel senso opposto: via libera al progetto. Sul fascicolo del ministero fu quindi apposto il timbro
“Trieste” e l’iter prese il suo avvio. Si
sa come vanno le cose in Italia, fermare la burocrazia è quasi impossibile, ci
furono le elezioni, cambiò la giunta, e quando ci si accorse dell’equivoco la
frittata era fatta: tornare indietro non si poteva.
Come sappiamo, ci si è fermati appena in tempo, ma quell’equivoco è costato milioni di euro in progetti, perizie, controperizie ed ha fatto correre a Trieste un pericolo enorme. Forse per questo, si dice, sugli apparecchi telefonici in uso negli assessorati comunali è stato applicato un adesivo recante il seguente monito: “se chiamano da Roma, parla italiano”. Basterà?
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