Il nostro percorso enogastronomico non poteva che cominciare
con il locale più caratteristico ed amato: l’osmizza.
Si tratta di un antro malsano ricavato abusivamente in una sperduta casa colonica collegata al mondo civilizzato da una strada vicinale disseminata di pericolosissime insidie. Si va dalla pietra
piramidale tagliente che attende perfidamente il vostro semiasse, alla buca
allagata in grado di mettere in crisi il vostro suv 4x4, alla Mercedes carica
di ubriachi che procede in senso opposto senza suonare. Il pezzo forte è però
il trattore con rimorchio di fieno che procede nella vostra direzione a 15
chilometri orari di media e che, per stazza laterale e passo longitudinale,
risulta matematicamente insorpassabile per tutto il percorso. L’uomo con il
cappello che lo guida vi farà di tanto in tanto il segno di passare, ma
esclusivamente in corrispondenza della Mercedes con ubriachi di cui sopra. Uno
di questi esemplari può farvi ritardare l’appuntamento con la cena fino a tre
ore. Si narra di un direttore generale della Fincantieri che, nel 1994, perse una
commessa da sessanta miliardi di Lire per aver invitato un cliente arabo in
un’osmizza di Sgonico, impiegando due ore e quarantacinque minuti per
raggiungerla da Borgo Grotta.
Nel raro e fortunato caso in cui riusciate a raggiungere la
meta, si verificano esclusivamente le seguenti possibilità:
L’osmizza è chiusa da due anni e voi non ne sapevate niente.
L’osmizza è aperta ma si festeggia una cresima, quindi non
c’è posto nemmeno per chi ha prenotato.
L’osmizza osserva una settimana di chiusura in base ad una
bolla di Maria Teresa del 1769, recepita da Regio decreto del 1927 e ribadita
da ordinanza della Provincia del 1974.
L’osmizza è aperta ma la moglie del titolare ha un attacco
d’asma e quindi servono solo da bere.
L’osmizza sarebbe aperta ma è in corso un’ispezione dei Nas.
Infatti davanti alla porta della cucina ci sono tre persone ammanettate.
Mentre i vostri ospiti vi fissano con odio, tornate verso il
parcheggio per scoprire che, nel giro di cinque minuti, qualcuno ha utilizzato
un cacciavite e la fiancata della vostra auto per tracciare una schematica mappa
stradale della provincia. A questo punto la vostra mente si apre ad
un’intuizione geniale: rientrare in città e andare alla pizzeria sotto casa,
dove vi conoscono da anni e vi trattano da re. Raggianti, brandite le chiavi
dell’auto e fate cenno agli ospiti, quando il malefico destino carsico vi invia due demoni malvagi travestiti da clienti di osmizze che vi sorprendono alle
spalle e gracchiano: “a tre chilometri da qui c’è n’è un’altra anche migliore,
veniteci dietro”. Terrorizzati all’idea, cercate di sottrarvi a sorte segnata,
ma i vostri ospiti, ormai fulminati dalla maledizione dell’osmizza, vi
impongono di obbedire.
I preannunciati tre chilometri si rivelano non meno di venti
e la strada si trasforma in un tratturo impercorribile nel cuore di un bosco
muto e buio, con pendenze fino al 45% sia in salita che in discesa, tanto che
al conto della cena dovrete sommare frizione e dischi dei
freni. Il sacrificio della vostra auto è comunque infine giustamente premiato,
allorquando giungete nell’agognata, vera e tipica osmizza carsica.
Appena scesi dall’auto venite assaliti da una nube di
moscerini, falene, pappataci, mosche, tafani e pipistrelli. Nei paraggi non ci
sono stalle ma il titolare, per ricreare la tipica atmosfera, ogni anno fa
scaricare sul retro tre tonnellate di letame. Vi accoglie una sedicente figlia
del gestore il cui sguardo sembra dire “sono prigioniera qui da tre anni,
aiutatemi a fuggire” e veste una delle caratteristiche divise da cameriera di
osmizza, ovvero: tuta da ginnastica sformata e lisa sui glutei, binomio
jeans-maglietta taglio anni novanta, camicione hippy, costume tirolese
incazzato, completo militare mimetico prestato da un cugino. Mentre vi chiedete
se mangiare all’aperto o al chiuso, ovvero se preferire la nube di insetti molesti
alla cappa soffocante della sala, un grugnito dall’interno impone alla
cameriera di indicarvi il tavolo davanti alla toilette, che il titolare vi
infligge per sfregio, avendovi in odio per come avete parcheggiato l’auto.
Il tavolo è coperto da quella che sembra una tovaglia di
plastica a quadri bianchi e rossi, ma è in realtà un foglio di carta moschicida
convinto che i vostri avambracci siano insetti da catturare, sì che voi ed i
vostri commensali siete costretti a tenere le braccia lungo il corpo come
cadetti nel giorno del giuramento. Il personale vi ignora per almeno quaranta
minuti, durante i quali il vostro olfatto si adegua all’odore tipico
dell’osmizza, ovvero un misto di sudore, aceto, cipolla, formaldeide, uovo
marcio, fernet, carne bruciata, frittura, cherosene, vanillina, vaselina,
insetticida, pepe verde, ammoniaca, vino rosso, pipì di gatto, pino silvestre,
incenso, catrame, butano, brodo di pollo, angostura e polvere da sparo.
Giunto finalmente il momento dell’ordinazione, la cameriera,
da voi compassionevolmente ribattezzata “Gretel”, vi espone il menù, e cioè:
piatto di affettati misti, piatto di affettati e formaggi misti, piatto della
casa, cioè affettati e formaggi misti con aggiunta di un uovo sodo. Mentre
Gretel sbuffa come una ciminiera per la vostra indecisione, la mediazione con i commensali fallisce e vi rassegnate ad ordinare il piatto della casa,
consapevoli che si compone dei prodotti scaduti del vicino discount, il cui
elemento dominante è la pancetta stopposa dal caratteristico filamento
interdentale a prova di stuzzicadenti al titanio. Quanto ai vini, prodotti dai
titolari e serviti tassativamente sfusi, l’offerta è quella di ogni osmizza che
si rispetti: Terrano, ovvero un'emulsione 40% Tavernello e 60% catrame, Refosco
(stesse componenti ma a percentuali invertite), bianco della casa (50% Albana
di Romagna e 50% acqua del rubinetto) e prosecco alla spina (50% Malvasia slovena
e 50% acqua minerale gasata). Gretel, molto onestamente, vi informa che “il
prosecco l’abbiamo ma non lo facciamo noi”.
Venite serviti dopo due ore di attesa, ma nel frattempo
avete esaurito tutto il pane del cestino e non ve la sentite di chiederne
altro, nel timore che, per rappresaglia, Gretel possa venire imprigionata in
cantina per una settimana. Vi rassegnate quindi a mangiare l’affettato senza
pane, lacerandolo alla meglio con gli stuzzicadenti che, come da tradizione di
ogni osmizza, fungono da posate. Sfortunatamente, nel tentativo di tranciare
l’unica fetta di prosciutto crudo, il vostro dirimpettaio fa rotolare a terra
l’uovo sodo.
Il simpatico e caratteristico pasteggio viene interrotto da
Gretel, la quale, approfittando di un momento di disattenzione generale,
sottrae dal tavolo il piatto ancora a metà e vi chiede se volete il dolce. Quindi si
esibisce in un elenco di cui nessuno riesce a comprendere una sola parola,
salvo le ultime: “ma io vi consiglio la nostra pasta e crema”. Al ché tutti
ordinano pasta e crema. Poco dopo un collega di Gretel (presumibilmente Hansel)
si presenta al vostro tavolo con una carriola nella quale affonda un badile e
scarica nei vostri piatti tre chili abbondanti di una sorta di calcestruzzo
giallastro frammisto a scaglie di pasta sfoglia (uno scarto del vicino
discount) e panna montata spray scaduta.
Superato anche lo scoglio del dolce vi preparate a
rientrare, ma si appalesa il
titolare che vi domanda minacciosamente: “tutto bene signori?” Voi vi
affrettate a ringraziarlo per la splendida cena, tappando la bocca ad una
vostra amica che ha la pessima abitudine di questionare con i ristoratori e che
vi figurate già imprigionata insieme a Gretel. Quindi il gestore prosegue con
tono intimidatorio: “vi offro un liquorino”. E vi fa portare un liquido nerastro
che ingurgitate senza fiatare, nel timore di dover pagare un riscatto per
potervene andare.
Lungo la strada avete la ventura di trovare una farmacia
aperta per il turno di notte e comprate tutto il digestivo Giuliani
disponibile. La farmacista, odiandovi per averla interrotta mentre navigava su
youporn, vi frega sul sovrapprezzo per servizio notturno.
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