sabato 2 agosto 2014

A-gusto. L’osmizza


Il nostro percorso enogastronomico non poteva che cominciare con il locale più caratteristico ed amato: l’osmizza.

Si tratta di un antro malsano ricavato abusivamente in una sperduta casa colonica collegata al mondo civilizzato da una strada vicinale disseminata di pericolosissime insidie. Si va dalla pietra piramidale tagliente che attende perfidamente il vostro semiasse, alla buca allagata in grado di mettere in crisi il vostro suv 4x4, alla Mercedes carica di ubriachi che procede in senso opposto senza suonare. Il pezzo forte è però il trattore con rimorchio di fieno che procede nella vostra direzione a 15 chilometri orari di media e che, per stazza laterale e passo longitudinale, risulta matematicamente insorpassabile per tutto il percorso. L’uomo con il cappello che lo guida vi farà di tanto in tanto il segno di passare, ma esclusivamente in corrispondenza della Mercedes con ubriachi di cui sopra. Uno di questi esemplari può farvi ritardare l’appuntamento con la cena fino a tre ore. Si narra di un direttore generale della Fincantieri che, nel 1994, perse una commessa da sessanta miliardi di Lire per aver invitato un cliente arabo in un’osmizza di Sgonico, impiegando due ore e quarantacinque minuti per raggiungerla da Borgo Grotta.

Nel raro e fortunato caso in cui riusciate a raggiungere la meta, si verificano esclusivamente le seguenti possibilità:
L’osmizza è chiusa da due anni e voi non ne sapevate niente.
L’osmizza è aperta ma si festeggia una cresima, quindi non c’è posto nemmeno per chi ha prenotato.
L’osmizza osserva una settimana di chiusura in base ad una bolla di Maria Teresa del 1769, recepita da Regio decreto del 1927 e ribadita da ordinanza della Provincia del 1974.
L’osmizza è aperta ma la moglie del titolare ha un attacco d’asma e quindi servono solo da bere.
L’osmizza sarebbe aperta ma è in corso un’ispezione dei Nas. Infatti davanti alla porta della cucina ci sono tre persone ammanettate.

Mentre i vostri ospiti vi fissano con odio, tornate verso il parcheggio per scoprire che, nel giro di cinque minuti, qualcuno ha utilizzato un cacciavite e la fiancata della vostra auto per tracciare una schematica mappa stradale della provincia. A questo punto la vostra mente si apre ad un’intuizione geniale: rientrare in città e andare alla pizzeria sotto casa, dove vi conoscono da anni e vi trattano da re. Raggianti, brandite le chiavi dell’auto e fate cenno agli ospiti, quando il malefico destino carsico vi invia due demoni malvagi travestiti da clienti di osmizze che vi sorprendono alle spalle e gracchiano: “a tre chilometri da qui c’è n’è un’altra anche migliore, veniteci dietro”. Terrorizzati all’idea, cercate di sottrarvi a sorte segnata, ma i vostri ospiti, ormai fulminati dalla maledizione dell’osmizza, vi impongono di obbedire.

I preannunciati tre chilometri si rivelano non meno di venti e la strada si trasforma in un tratturo impercorribile nel cuore di un bosco muto e buio, con pendenze fino al 45% sia in salita che in discesa, tanto che al conto della cena dovrete sommare frizione e dischi dei freni. Il sacrificio della vostra auto è comunque infine giustamente premiato, allorquando giungete nell’agognata, vera e tipica osmizza carsica. 

Appena scesi dall’auto venite assaliti da una nube di moscerini, falene, pappataci, mosche, tafani e pipistrelli. Nei paraggi non ci sono stalle ma il titolare, per ricreare la tipica atmosfera, ogni anno fa scaricare sul retro tre tonnellate di letame. Vi accoglie una sedicente figlia del gestore il cui sguardo sembra dire “sono prigioniera qui da tre anni, aiutatemi a fuggire” e veste una delle caratteristiche divise da cameriera di osmizza, ovvero: tuta da ginnastica sformata e lisa sui glutei, binomio jeans-maglietta taglio anni novanta, camicione hippy, costume tirolese incazzato, completo militare mimetico prestato da un cugino. Mentre vi chiedete se mangiare all’aperto o al chiuso, ovvero se preferire la nube di insetti molesti alla cappa soffocante della sala, un grugnito dall’interno impone alla cameriera di indicarvi il tavolo davanti alla toilette, che il titolare vi infligge per sfregio, avendovi in odio per come avete parcheggiato l’auto.

Il tavolo è coperto da quella che sembra una tovaglia di plastica a quadri bianchi e rossi, ma è in realtà un foglio di carta moschicida convinto che i vostri avambracci siano insetti da catturare, sì che voi ed i vostri commensali siete costretti a tenere le braccia lungo il corpo come cadetti nel giorno del giuramento. Il personale vi ignora per almeno quaranta minuti, durante i quali il vostro olfatto si adegua all’odore tipico dell’osmizza, ovvero un misto di sudore, aceto, cipolla, formaldeide, uovo marcio, fernet, carne bruciata, frittura, cherosene, vanillina, vaselina, insetticida, pepe verde, ammoniaca, vino rosso, pipì di gatto, pino silvestre, incenso, catrame, butano, brodo di pollo, angostura e polvere da sparo.

Giunto finalmente il momento dell’ordinazione, la cameriera, da voi compassionevolmente ribattezzata “Gretel”, vi espone il menù, e cioè: piatto di affettati misti, piatto di affettati e formaggi misti, piatto della casa, cioè affettati e formaggi misti con aggiunta di un uovo sodo. Mentre Gretel sbuffa come una ciminiera per la vostra indecisione, la mediazione con i commensali fallisce e vi rassegnate ad ordinare il piatto della casa, consapevoli che si compone dei prodotti scaduti del vicino discount, il cui elemento dominante è la pancetta stopposa dal caratteristico filamento interdentale a prova di stuzzicadenti al titanio. Quanto ai vini, prodotti dai titolari e serviti tassativamente sfusi, l’offerta è quella di ogni osmizza che si rispetti: Terrano, ovvero un'emulsione 40% Tavernello e 60% catrame, Refosco (stesse componenti ma a percentuali invertite), bianco della casa (50% Albana di Romagna e 50% acqua del rubinetto) e prosecco alla spina (50% Malvasia slovena e 50% acqua minerale gasata). Gretel, molto onestamente, vi informa che “il prosecco l’abbiamo ma non lo facciamo noi”.

Venite serviti dopo due ore di attesa, ma nel frattempo avete esaurito tutto il pane del cestino e non ve la sentite di chiederne altro, nel timore che, per rappresaglia, Gretel possa venire imprigionata in cantina per una settimana. Vi rassegnate quindi a mangiare l’affettato senza pane, lacerandolo alla meglio con gli stuzzicadenti che, come da tradizione di ogni osmizza, fungono da posate. Sfortunatamente, nel tentativo di tranciare l’unica fetta di prosciutto crudo, il vostro dirimpettaio fa rotolare a terra l’uovo sodo.

Il simpatico e caratteristico pasteggio viene interrotto da Gretel, la quale, approfittando di un momento di disattenzione generale, sottrae dal tavolo il piatto ancora a metà e vi chiede se volete il dolce. Quindi si esibisce in un elenco di cui nessuno riesce a comprendere una sola parola, salvo le ultime: “ma io vi consiglio la nostra pasta e crema”. Al ché tutti ordinano pasta e crema. Poco dopo un collega di Gretel (presumibilmente Hansel) si presenta al vostro tavolo con una carriola nella quale affonda un badile e scarica nei vostri piatti tre chili abbondanti di una sorta di calcestruzzo giallastro frammisto a scaglie di pasta sfoglia (uno scarto del vicino discount) e panna montata spray scaduta.

Superato anche lo scoglio del dolce vi preparate a rientrare, ma si appalesa il titolare che vi domanda minacciosamente: “tutto bene signori?” Voi vi affrettate a ringraziarlo per la splendida cena, tappando la bocca ad una vostra amica che ha la pessima abitudine di questionare con i ristoratori e che vi figurate già imprigionata insieme a Gretel. Quindi il gestore prosegue con tono intimidatorio: “vi offro un liquorino”. E vi fa portare un liquido nerastro che ingurgitate senza fiatare, nel timore di dover pagare un riscatto per potervene andare.

Lungo la strada avete la ventura di trovare una farmacia aperta per il turno di notte e comprate tutto il digestivo Giuliani disponibile. La farmacista, odiandovi per averla interrotta mentre navigava su youporn, vi frega sul sovrapprezzo per servizio notturno.

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